Usciremo dall’emergenza sanitaria. Ma ormai è chiaro, non tutto andrà bene. Non andrà bene per tantissimi italiani: imprenditori, commercianti, artigiani, operatori del turismo, del terziario. In due mesi di emergenza Covid-19 sono state cancellate intere produzioni, andati persi migliaia di posti di lavoro, azzerato l’export e l’utile di interi comparti. Eppure, c’è un Paese che ha impiegato i 57 giorni di lockdown per immaginarsi il futuro. Per prepararsi a costruirne uno tutto nuovo, su altre basi. È l’Italia alla quale guarda la Fondazione Guido Carli e con la quale occorre pensare una ripartenza basata sulle opportunità e sul talento. Ma soprattutto sul coraggio.
Penso all’imprenditore dolciario Alberto Balocco, che dopo la Pasqua disastrosa delle vendite dimezzate è riuscito a reinventare la sua attività e ad assumere nuovo personale. Oppure, il manager Matteo Liberali che ha aperto una sede della sua fabbrica hi-tech giusto nella provincia dell’Hubei, epicentro del contagio, in pieno aprile, sfruttando il rimbalzo dell’economia cinese già alle prese con la Fase 2. Sono solo due esempi. Ma il concetto è uno. La ricostruzione deve essere l’unica bussola, d’ora in avanti, per chi fa impresa, per chi gestisce le leve dell’economia, per chi amministra la cosa pubblica.
E “Ri-Nascita Italia” è il titolo che la nostra Fondazione ha pensato per la grande convention in programma l’autunno prossimo. Se sarà possibile, nella Milano che diventerà – ne siamo certi – capitale del rilancio del Paese, dopo essere stata piegata ma non spezzata dall’epidemia. Top manager, imprenditori, esponenti del mondo delle istituzioni, delle telecomunicazioni, della farmaceutica e dell’editoria ragioneranno con noi su tempi e modi del “Rinascimento” italiano. Prima però bisognerà liberare il terreno dalle macerie del terremoto economico-finanziario che sta già travolgendo l’intero Occidente. Bisognerà soprattutto aiutare chi ha perso la propria attività ad aver fiducia in se stesso e nel futuro.
Solidarietà e condivisione. La Fondazione Guido Carli – che ho l’orgoglio di presiedere – non ha mai smesso di esserci. In questi mesi, abbiamo dato vita ad una massiccia campagna in favore della Protezione civile, sia attraverso il nostro sito (fondazioneguidocarli.it) che su tutte le reti Mediaset. Ma anche sulle pagine concesse dal Corriere della Sera, nostro media partner fin dall’inizio. Abbiamo preferito però fare una scelta rimandando tutte le manifestazioni previste in primavera. Sul web sarebbero state prive di quel contatto umano che non vogliamo in alcun modo perdere. Come l’economista e statista Guido Carli, mio nonno – uomo moderno ma all’antica – guardiamo al futuro e al progresso, ma abbiamo i piedi ben piantati nella tradizione, nei valori di sempre. Torneremo a scambiarci idee e progetti. Lo faremo in autunno con un sorriso reale.
Ma intanto non c’è tempo da perdere. I posti di lavoro a rischio in Italia, in questi mesi, sono stimati in tre milioni. È la devastante eredità che ci lascia il Covid-19: fatturati azzerati del turismo, della ristorazione, del commercio, della moda, dell’automobile. Lo Stato è intervenuto proprio in questi giorni stanziando i 55 miliardi del decreto Rilancio che, è evidente, non saranno sufficienti. Si poteva fare di più e meglio, certo.
Ma di cosa ha urgenza l’Italia? Primo. Bisogna portare il Paese fuori da quella sorta di “palude burocratica” nella quale si trova immerso da decenni. Tanto più oggi diventa essenziale che chi voglia aprire un’attività o investire lo possa fare nell’arco di 24 ore. Come in buona parte dei paesi europei. L’autocertificazione che abbiamo imparato a conoscere e che ci ha accompagnato in questi mesi – suscitando non poche ironie e insofferenze – diventi nella Fase 3 il passepartout della sburocratizzazione e di una economia finalmente moderna e agile. Il cittadino si assume la responsabilità di un investimento, di un’apertura, di una ristrutturazione “secondo le regole” autocertificando, appunto. I controlli seguiranno a campione. Secondo. Non abbandonare al consueto assistenzialismo l’ingente monte ore della cassa integrazione, sfruttarlo per l’avvio di percorsi formativi che dovranno adeguare – come mai in passato – le singole capacità alle figure professionali richieste dalla nuova economia. Va da sé che il mondo che ci aspetta avrà bisogno di competenze in buona parte diverse rispetto al passato. Più medici e infermieri, operatori della sanificazione degli ambienti, operai in grado di produrre milioni di mascherine al mese e altri capaci di realizzare strutture e protezioni in plexiglass, il mercato richiederà steward pronti a garantire il distanziamento sociale in luoghi pubblici inevitabilmente molto frequentati. Sono solo alcuni, se si vuole banali esempi. Sufficienti tuttavia a comprendere come si debba intervenire e subito con una pianificazione mirata.
Bisogna evitare che a fronte di una crisi senza precedenti, la soluzione di ogni problema passi solo attraverso una smisurata spesa pubblica. O, peggio, con l’intervento quasi automatico dello Stato nelle imprese, nelle aziende magari in difficoltà. Fare questo significherebbe tradire l’insegnamento e il lascito culturale di Guido Carli. Il suo concetto di coraggio, la sua fiducia nel mercato, il suo sguardo volto ad aiutare i più deboli, sì, ma per consentire loro di camminare sulle loro gambe e non per renderli questuanti di sporadiche quanto improduttive elemosine. Se un insegnamento forte va oggi ripreso, dall’ex governatore di Bankitalia, è che bisogna abbandonare la logica del breve periodo per coltivare quella del lungo periodo. Lavorare e programmare non per il nostro benessere ma pensando fin d’ora alla vita dei nostri figli e dei nostri nipoti. È quel che hanno fatto gli italiani del Dopoguerra. Se sapremo realizzarlo, allora saremo ricordati anche noi con la stessa riconoscenza.
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