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L’elezione di Giovanni Paolo II, rivincita cattolica e polacca

Un uomo che è stato papa. La definizione la diede il suo amico Francesco Cossiga al Nyt e a lui piacque molto. Ricorre in questi giorni il centenario della nascita di san Giovanni Paolo II, regnante sul trono di Pietro per più di 26 anni. Il terzo (o secondo) pontificato più longevo della storia si aprì in un clima di stupore e sorpresa nell’ottobre del 1978: la Chiesa (e non solo), ancora frastornata dalla morte improvvisa di Albino Luciani, rimase ulteriormente impressionata dalla notizia di un successore non italiano 456 anni dopo Adriano VI. Karol Wojtyla, poi, non era solo straniero ma era soprattutto polacco e quindi proveniente dalla parte orientale di quella cortina di ferro che divideva i due schieramenti della Guerra Fredda. Non a caso, quell’elezione mandò su tutte le furie Mosca che se la prese con il regime satellite di Varsavia, accusandolo di esser stato fino ad allora troppo tollerante con la Chiesa cattolica.

All’indomani della sera del 16 ottobre 1978, il Kgb – come emerso da alcuni documenti del Sismi all’epoca della commissione Mitrokhin- iniziò ad inviare alle cosiddette “residenture” una circolare in cui si annunciava di voler adottare “azioni di discredito” nei confronti di Giovanni Paolo II, sottolineandone la sua “pericolosità”. Questo portò probabilmente alla successiva diffusione di teorie del complotto sull’esito del Conclave in base alle quali un ruolo decisivo sarebbe stato svolto dall’allora consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza Carter, il polacco naturalizzato americano Brzezinski. Andropov, allora capo del Kgb e futuro leader Urss, temeva più di chiunque altro che l’ascesa al vertice della Chiesa cattolica di un polacco avrebbe potuto destabilizzare il blocco sovietico.

Wojtyla, poi, era ben noto ai servizi segreti del regime comunista del suo Paese che lo pedinavano costantemente e che già nel 1972 avevano registrato in un dossier il “pericolo” di una sua successione a Paolo VI. A differenza di quanto si crede generalmente, infatti, il giovane arcivescovo di Cracovia non entrò affatto da sconosciuto nel secondo Conclave del 1978. Montini, che ai tempi di Milano gli fece omaggio di tre campane per la chiesa di San Floriano a Cracovia, lo stimava profondamente e consultò anche una sua relazione favorevole al divieto della contraccezione prima della stesura della “Humanae Vitae”.

Davanti alle polemiche e agli attacchi di cui fu vittima Paolo VI dopo la pubblicazione del documento, Wojtyla fu uno dei cardinali che scese in campo per difenderlo, scrivendo un articolo in prima pagina sul “L’Osservatore Romano” dal titolo emblematico: “La verità dell’ Enciclica”.

La benevolenza di Montini per il porporato polacco si manifestò ulteriormente nel 1976 quando volle proprio lui per guidare gli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano. Per questo, dopo i 33 giorni di Albino Luciani, il Sacro Collegio – per superare lo stallo creatosi tra i due candidati naturali Siri e Benelli – lo individuò come “terzo nome” a partire dal settimo scrutinio grazie soprattutto all’opera di mediazione messa in campo dal cardinale Franz König, arcivescovo di Vienna e pope-maker di quel Conclave.

All’ottavo scrutinio Wojtyla raccolse probabilmente 99 voti, permettendo così – dopo l’accettazione – che dal comignolo della Sistina si levasse la tradizionale fumata bianca. Paradossalmente, i servizi segreti polacchi – a differenza di quelli sovietici – non accolsero troppo negativamente la notizia, nell’ingenua convinzione che averlo come papa a Roma sarebbe stato meno pericoloso di trovarselo primate alla morte del cardinal Wyszyński, il baluardo nazionale della resistenza al regime.

Ma già subito dopo l’elezione, con la decisione di salutare per primo proprio il vecchio leone anticomunista, divenne chiaro che Giovanni Paolo II sarebbe diventato il principale alfiere della libertà del suo popolo. Proprio da Varsavia, dopo il primo storico ritorno a casa del pontefice nel 1979,  cominciò a soffiare il vento della libertà che avrebbe portato alla caduta del Muro di Berlino e alla disgregazione dell’impero sovietico. Fu così che un uomo d’oltrecortina, anche un po’ diffidente verso certo occidentalismo, entrò nella Storia per essere stato determinante – come riconosciuto da Jaruzelski e da Gorbaciov – nel crollo del comunismo rispondendo quasi mezzo secolo dopo alla beffarda domanda di Stalin che a Yalta si chiedeva di quante divisioni può disporre un papa.

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