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Golden power, Johnson chiude alle aziende cinesi. Ecco come e perché

Theresa May se ne lamentava già nel settembre 2016. Il governo inglese non ha “strumenti sufficienti” per fermare acquisizioni o fusioni di aziende britanniche da parte di attori ostili stranieri. Oggi il suo successore a Downing Street, Boris Johnson, ha intenzione di aggiornare quegli strumenti, per difendere le aziende inglesi esposte sui mercati per la crisi del Covid-19 dalle mire di un Paese un tempo alleato, ora sempre di meno: la Cina.

Il premier ha annunciato ai suoi parlamentari Tories che intende varare una legge per “assicurarci di proteggere la nostra base tecnologica” da Paesi che possono avere “motivi ulteriori”, oltre a quelli di mercato, per puntare alle aziende inglesi. Il provvedimento sarà inserito nel National Security Bill, a sua volta già presente nella legislazione del Queen’s speech di dicembre.

La versione inglese del “golden power” permetterà al governo di “scrutinare e intervenire” sui takeover stranieri considerati un rischio per la sicurezza nazionale. Più precisamente, si legge nella bozza del provvedimento, “rischi che possono provenire da attori ostili che acquisiscono la proprietà o il controllo di aziende o altre entità e asset che hanno implicazioni di sicurezza nazionale”.

Non sono ancora pubblici i dettagli della nuova legge. Molto dipenderà dall’impatto che avrà sulla stesura finale il pressing di un agguerrito gruppo di Tories su BoJo. La fronda anticinese del partito conservatore è diventata un problema per la dirigenza, soprattutto negli ultimi mesi. A marzo un drappello di deputati “ribelli” guidati dall’ex segretario del Lavoro Ian Duncan Smith ha perfino tentato, senza riuscirci, a mettere in minoranza il governo su una proposta di legge per escludere la cinese Huawei dalla rete 5G nazionale.

Ora gli stessi chiedono al premier di aumentare vertiginosamente i poteri di intervento del governo sulle acquisizioni estere. Tra le proposte avanzate, ha svelato il Guardian la scorsa settimana, c’è quella di permettere ai ministri, “in collaborazione con le agenzie di intelligence dei Five Eyes (Australia, Nuova Zelanda, Usa, Canada, Uk)”, di “avere i poteri di guardare dietro alle aziende che potrebbero agire a nome della Cina, o di altri attori ostili”. Di più, i “falchi” anticinesi di Westminster vogliono che i poteri di scrutinio agiscano anche ex post, cioè ad acquisizione finita.

Si tratta, evidentemente, di richieste che non potranno essere tutte accolte. Ma insieme raccontano un clima che si è fatto poco salubre per l’ex Celeste impero in una città, Londra, che come nessun’altra capitale europea vanta un legame diretto con la Città Proibita.

Il dibattito sul “golden power” è esploso la settimana scorsa. Imagination Technologies, la più grande azienda inglese produttrice di semiconduttori, con clienti del calibro di Apple e Samsung, ha rischiato di vedersi imposta nel cda la nomina di quattro membri scelti dalla controllante Canyon Bridge, società di private equity cinese considerata vicina al Partito comunista cinese (Pcc). O meglio organica, se è vero che il 99% dei fondi arriva dalla società di proprietà statale China Reform.

L’operazione non è andata in porto a seguito dell’intervento di un gruppo di deputati che ha chiesto al governo di fermarla sul nascere. Ma tanto è bastato per creare un polverone a Westminster.

Consegnare un campione nella produzione di semiconduttori, settore in cui le aziende tech cinesi arrancano a causa delle sanzioni del governo americano, che hanno appena impedito ad aziende come la taiwanese Tsmc (Taiwan semiconductor manufacturing company) di venderli a compagnie cinesi come Huawei, significa dare alla Cina le chiavi di un settore strategico per la competizione tecnologica. Lo ha detto senza mezzi termini il presidente della Commissione Esteri Tom Tugendhat: “Chiunque scriva il codice, scrive le regole per il mondo, più di qualsiasi regolamento scritto da burocrati”.

Ora Imagination Technologies è nel mirino del governo britannico. E, riporta il Telegraph, ci sarebbe una cordata di aziende occidentali pronta a subentrare nell’azionariato, sottraendo la quota di maggioranza alla società controllata da Pechino. Intanto il caso è atterrato in Parlamento, e rischia di restringere le maglie del mondo imprenditoriale inglese per le aziende cinesi.


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