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Interessi strategici e guerra per procura. La Libia dietro al tentato golpe di Haftar

Il 27 aprile u.s., il generale Khalifa Haftar, capo militare e politico della Cirenaica e soprattutto delle forze della Lna, Esercito Nazionale Libico, ha annunciato, citiamo qui letteralmente, di “aver accettato il mandato popolare di occuparsi delle questioni del Paese, nonostante il peso delle responsabilità e degli obblighi; e la vasta dimensione delle responsabilità che sono sulle spalle dell’Esercito” e il tutto, oltre ad altre note sulla tensioni militari, è stato detto in un discorso televisivo, tenuto proprio la sera del 27 u.s.

Il generale della Cirenaica, poi, ha aggiunto che il comando dell’esercito “sarà a disposizione del popolo e lavorerà al meglio delle sue capacità per alleviare la sofferenza del popolo”. Toni tipicamente gheddafiani, questi, da parte di un leader politico-militare che ha fatto stampare, già nel 2016, con il profilo del Colonnello della Sirte, la sua cartamoneta cirenaica in Russia.

Non si ironizzi su queste questioni. Il sentimento nazionale libico, forgiato dalla lotta anticolonialista contro gli italiani prima e i britannici dopo, non è affatto secondario rispetto al sentimento, comune in un Paese come questo, di lealtà verso la propria tribù.
Mosca ha già speso in Libia, proprio a partire dal 2016, almeno 10 miliardi di dinari in aiuti alla popolazione e, direttamente, alle Forze di Khalifa Haftar.

Tutte le aree di partenza dei migranti dalle coste libiche, inoltre, sono di pertinenza delle Forze legate in qualche modo al capo della Tripolitania, Al Serraj, così come i centri di detenzione. E che, senza questi introiti, le Forze di Misurata quelle di Zahwia, legata alla tribù dei Warshafana non avrebbero certezze nella distribuzione degli stipendi e del pagamento delle armi e delle vettovaglie.

Il ciclo dei finanziamenti centro-periferia, nella Tripolitania di Al Serraj, è spesso incerto. Poi c’è anche Sebha, sulla stessa costa tripolina, poi abbiamo ancora Surman, come aree di detenzione dei migranti e di sostegno militare a Tripoli, senza dimenticare nemmeno le milizie della sicurezza interna di Tripoli, e ancora i Nawasi e i Tajouri, poi ancora le forze Rada, che sono dei salafiti legati ad Abdel Raouf Kara, le quali sono ormai stabilmente insediate nell’aeroporto di Mitiga, e infine c’è ancora la Brigata dei Rivoluzionari di Tripoli, guidata da Tajouri, che controlla tutte le filiali delle banche nella città di Tripoli.

I Nawasi possiedono tutte le filiali della società Libyana, che si occupa di poste e telecomunicazioni, si immagina con quale livello di sicurezza, ma qui si passa allo scontro, non ancora concluso, per il controllo del mercato nero delle valute, tra gli stessi Nawasi e la Brigata Ghazewy, che controlla ancora la città vecchia.

Nel maggio 2017 la brigata Nawasi ha anche attaccato il ministero degli Esteri, il cui capo del dicastero, Mohammed Taher al Sayala, era stato accusato addirittura di avere rapporti “coperti” con Haftar, probabilmente per i suoi frequenti incontri con il ministro degli Esteri russo Lavrov.

Sempre la brigata Nawasi, ricca come e spesso più del governo di Tripoli, ha attaccato anche, nell’agosto 2017, il capo della sicurezza della Guardia Costiera. Oggi non è, comunque, cambiato nulla. La poliarchia di Tripoli, mentre il gruppo di Bengasi mostra un maggiore tasso di unità, è il principale nemico della sua stessa permanenza al potere.

Questa è la Libia che l’Italia ha totalmente abbandonato a se stessa, oggi, credendo che il destino delle coste di Tripoli e della Cirenaica non la interessi. Salvo, naturalmente, il lip service per l’Onu, per l’Ue, per la kantiana Pace Perpetua e per qualche altra frescaccia universalista e attentamente priva di qualsiasi idea di interesse nazionale.

Errore fatale, questo, che pagheremo carissimo, e non solo per il futuro arrivo di una infinità di migranti nelle more di una pesantissima crisi economica e finanziaria da coronavirus.

Poco prima del messaggio televisivo di Haftar dello scorso 27 aprile, alcuni membri del Parlamento di Bengasi hanno diffuso comunicati stampa in cui hanno dichiarato di affidare a Khalifa Haftar la guida del Paese.

Riequilibri interni che nascondono una residua capacità, da parte di Haftar, di controllare meglio di Al Serraj il suo “parco buoi” politico.
Senza un supporto esterno, nessuna delle due parti, ovvero i tripolini del Gna e gli uomini del Lna cirenaico, hanno comunque la possibilità di passare all’offensiva e quindi a una stabile ed efficace guerra di movimento.

Tutto inizia, secondo noi, nei primi giorni dell’aprile 2019, quando Haftar annuncia il suo piano per prendere Tripoli e addirittura per liberare, così egli dice, il governo stesso di Al Serraj dalla morsa degli islamisti, che tengono in pugno l’area e i politici locali.

Il piano di Haftar era una vera e propria guerra-lampo, con Tripoli rapidamente accerchiata e con gruppi di commando che sarebbero successivamente entrati in città, per eliminare le sacche di resistenza del Gna di Al Serraj e delle sue “brigate”, notoriamente dalla scarsa affidabilità politica e militare e dalle spesso autonome forme di finanziamento.

Per Haftar, questo era un modo di costringere, anche, i Paesi che sostengono tutte le varie parti in lotta, e che oggi privilegiano nelle trattative Al Serraj, a sedersi al tavolo con l’Uomo della Cirenaica che dà finalmente le carte.
Ma il ricatto del capo dello Lna era ancora più semplice: o mi date ascolto o rimetto in azione le grandi rotte migratorie e chiudo i rifornimenti petroliferi.

Le armi sono ancora, in gran parte, sempre per quel che riguarda l’Lna di Haftar, quelle ancora presenti nei depositi del vecchio esercito libico gheddafiano, che non era affatto male, logisticamente.
Il supporto logistico e l’upgrade militare sono ancora appannaggio degli Emirati e dell’Egitto, con una vasta parte della liquidità fornita da Riyadh, l’intelligence è tuttora primato della Francia, la Russia sta amichevolmente a guardare, e con sostegni indiretti di mercenari e armi, per evitare attriti con la Turchia, partner primario di Al Serraj, e per evitare un entanglement in Maghreb che sarebbe stato, secondo l’equazione russa, eccessivo come investimento e tale comunque da indebolire fin troppo le operazioni di Mosca in altri quadranti, che essa giudica ancora primari.

Una buona mano l’hanno comunque data, ad Haftar, i suddetti mercenari russi della Wagner, oggi circa 2400, Wagner è una società controllata da Evgeny Prigozhin, un businessman legatissimo a Vladimir Putin.

I russi di Wagner hanno la loro base a Al-Jufra, nell’area pienamente sicura per Haftar, ma hanno anche il comando diretto della Brigata dell’Lna n.106, la migliore unità di élite dell’esercito di Haftar.

Le brigate di Tobruk che fanno parte dell’Lna della Cirenaica sono, per un totale oggi di 25.000 uomini, sono la 9° di Tarhouna, la città che peraltro vide i natali di un recente direttore dell’Aise, poi le Forze di Zintan, comandate da Idris Mathi e da Mukhtar Fernana, ancora i militanti della tribù dei Bani Walid, inoltre il battaglione Al-Wadi di Sabratah, poi la Forza Anti-Crimine di Zawiyah, la 12° Brigata di Brak-al-Shati, 7 battaglioni e due Brigate, e infine la 106 di Bengasi, le Forze Speciali, altre quattro brigate di linea.
Sul piano tattico, oggi la guerra contro Tripoli di Haftar, malgrado il forte sostegno di quelli della Wagner, si è fermata nei quartieri meridionali di Tripoli.

Si dice che, in questo caso, alcune intelligence europee, soprattutto dell’Europa Meridionale, abbiano dato un forte sostegno ad Al Serraj per bloccare l’iniziativa della Lna e rendere preparati, per tempo, i migliori gruppi oggi a sostegno del governo di Tripoli.
A giugno scorso, comunque, due particolari e nuove situazioni cambiano l’equazione tattica a favore di Al Serraj.

La prima, è la lunga catena di collegamenti logistici tra le prime linee e i comandi di Haftar, che si sfalda lentamente e rende sempre più difficili i collegamenti sia tra le varie forze in campo dell’Lna che tra esse e il comando centrale.

Poi, le postazioni offensive a sud di Tripoli passano lentamente, proprio per i motivi suddetti, dalle forze di Haftar, che sono anche sottoposte anche a un lento sfaldamento, come sempre accade in queste aree, ai corpi migliori di Al Serraj, dove, dato eminentemente politico, la penetrazione degli agenti dell’Lna di Haftar, forse per motivi specificamente finanziari, non ha successo.

Haftar aveva previsto di rimanere comunque solo pochi giorni, o al massimo due settimane, intorno a Tripoli, invece la situazione si blocca; e questo favorisce grandemente le forze legate ad Al Serraj.

È proprio Ghayan, il punto di partenza dell’attacco di Haftar, che viene conquistata, pochi giorni dopo dall’attacco del Lna, dalle forze migliori di Al Serraj, “ben dirette”, come si direbbe dei primi quattro califfi dopo il Profeta, da alcuni Servizi europei.
Al Serraj chiude in una sacca, dopo oltre quattro mesi di stallo, le prime linee di Haftar, che sono ormai o fuggite o prive di cibo e munizioni.

Altro cambio immediato di scenario: dopo una rete di sostegno alle linee del Lna di Haftar da parte, soprattutto, dei Servizi francesi e del gruppo Wagner russo, cambia il potenziale di attacco dell’Lna cirenaico, che è arrivato a Tripoli ed è stato circondato, soprattutto dalle Forze di Zintan, immediatamente a sud-ovest di Tripoli.

Le nuove linee di rifornimento e comando ricostruite rapidissimamente da russi e francesi, fanno sì però che Haftar possa di nuovo bombardare, all’inizio del 2020, anzi proprio il 5 gennaio, la sede centrale dell’accademia militare tripolina di Hadhba, con il risultato di 30 morti e circa 500 feriti.

Immediatamente dopo, i veri due partenaires dei due gruppi libici in lotta, Tripoli e Bengasi, ovvero Mosca e Ankara, spingono, con i metodi che è possibile immaginare, i loro referenti sul terreno a una tregua, almeno temporanea, ma che sia capace di far presentare ai due Paesi di riferimento un nuovo progetto autonomo libico, proprio all’inizio della Conferenza di Berlino, prevista e poi attuata dal 19 gennaio di quell’anno in poi. I risultati sono ormai ben noti.

Parole, più o meno in libertà, ma ne abbiamo già parlato qui a tempo debito, poi arriva lo stallo, evidente e inevitabile, tra Tripolitania e Cirenaica, e non sarebbe stato nemmeno difficile immaginare il perché, data l’idea tipicamente occidentale che, oggi, tutti debbano per forza seguire, senza nemmeno chiedersi il perché, dei progetti di Pace Perpetua che avrebbero fatto sorridere anche Kant, attento lettore di Machiavelli.

Francia e Gran Bretagna hanno rotto la scatola del tesoro gheddafiani, per evitare la sponda, spesso salvatrice, della finanza del Colonnello della Sirte per l’Italia, proprio nella fase in cui l’euro si disegna come modello di “austerità”, ovvero di blocco stabile dello sviluppo italiano a favore di altri.

L’Eni è l’oggetto primario del desiderio, ovviamente, e la chiusura del Maghreb alla presenza di un partenaire non omogeneo, come l’Italia, agli interessi petroliferi di Londra e Parigi fa il resto.

Gli Inglesi puniscono nel 2011, nel momento del grande spread finanziario di Roma, proprio quel colonnello che, su diretta selezione dei nostri Servizi, ha fatto il golpe contro Re Idriss, uomo degli inglesi quant’altri mai, mentre il Re cirenaico che si vantava di “non aver mai visitato Tripoli” era a “passare le acque” in Turchia.

E lo puniscono, Gheddafi, perché ha spedito fuori i britannici, requisendone con successo anche i conti bancari, e aperto subito agli italiani dell’Eni.

Che avevano avuto, gli uomini dell’Eni, qualche parte nel golpe degli “ufficiali liberi” filo-nasseriani sostenuti dal nostro Sid.
I nostri Servizi successivamente avvisarono, per ben due volte, di rivolte, attacchi e assassini mirati da parte degli inglesi, sempre contro il “colonnello”.
Una terza volta Gheddafi fu posto in allerta da noi per un attacco Usa contro la solita tenda del “colonnello” dentro la sua base di residenza.

Ce n’era abbastanza per essere puniti pesantemente. Nell’intelligence, niente si dimentica, e tutto, prima o poi, arriva a scadenza.
Parigi, in ogni caso, vuole ancor oggi l’Eni o comunque uno spazio egemonico libico per la sua azienda petrolifera di riferimento, la Total.
Dall’inizio di quest’anno, peraltro, Haftar controlla quasi tutti i pozzi di petrolio, come Sarara, Al Fil, l’intera area della Sirte, oltre a tutti i terminali della costa per trasportare quei petroli.

La questione che sta a cuore ad Haftar, per il petrolio, nasce nel 2016, quando il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha prorogato una mozione che permette al solo governo di Tripoli il diritto di gestire le esportazioni tramite la Noc, la compagnia petrolifera di Stato libica.
È qui il vero e forte nesso tra la Francia e l’Lna di Khalifa Haftar. Ne parleremo di più in seguito.

Alla Conferenza di Berlino non si conclude nulla, lo dicevamo già, ma si materializza un dato destinato a chiarire le future strategie dei due partenaires libici: il Gna di Al Serraj è ora fortemente ed esplicitamente sostenuto dalla Turchia, che vuole avere un ruolo di protezione ed espansione mediterranea, e poi globale, delle reti della Fratellanza Musulmana, quindi soprattutto del governo di Tripoli; mentre la Russia certifica il suo ruolo laterale, ma sempre ben collegato con Haftar, per interessi petroliferi indiretti e, soprattutto, per raggiungere l’obiettivo strategico di una base militare sulla costa della Cirenaica, un vero e proprio game changer nelle relazioni tra la Federazione Russa e la Nato.

Sia Al Serraj che Haftar si trovano, però, a condividere una sola valutazione: l’inefficienza strutturale del mandato Onu per l’area e il ruolo irrilevante di Ghassan Salamè come Inviato delle Nazioni Unite.

Ma uno dei fattori attuali della radicalizzazione del conflitto tra Tripoli e la Cirenaica risiede oggi, anche nella attuale pandemia da Covid-19.

Haftar ha bombardato pesantemente Tripoli, sperando di utilizzare militarmente lo sforzo che, comunque, Al Serraj sta compiendo per arginare il contagio. La popolazione civile è diventata, così, un primario obiettivo di guerra.

Ben 2,4 milioni di persone sono rimasti sena acqua potabile, a Tripoli, perché la Brigata Sherif di Haftar ha tagliato i rifornimenti idrici, il 10 di aprile scorso.

Il sostegno della Turchia, con droni e armi evolute, è comunque ancora molto importante, per il Gna di Tripoli.
Il primo obiettivo delle forze di Tripoli è stata la base aerea di Al Watiya, l’area che consente di colpire la capitale del governo di Al Serraj con i droni forniti dall’Arabia Saudita.

Le milizie dell’Lna di Bengasi hanno risposto con una offensiva lungo la costa, che ha permesso di mettere in sicurezza, sempre per il Gna di Haftar, la città di Zuwara fino alla conquista di Ras Jedir, una postazione al confine con la Tunisia.

Ad est della costa, i due governi libici si combattono ancora per la presa di Abugrein, da cui partono gli approvvigionamenti per Misurata, che è la vera copertura militare, sia per tutto il governo di Al Serraj che per la città di Tripoli.
Il terzo punto di scontro attuale è la città di Sirte.

Ripulita dallo Stato Islamico soprattutto dalle forze di Misurata, legate al Gna, Sirte è oggi in mano ad Haftar dopo che una formazione salafita jihadista è passata, armi e bagagli, dalla parte dell’Lna di Bengasi.
Al Serraj è arrivato anche a Sabratha e a Sorman, per controllare la linea che va dal confine tunisino fino a Misurata, ovvero la chiave di Tripoli.

Quindi, la battaglia oggi è soprattutto nell’area di Tarhouna, la più importante base di Haftar verso la Tripolitania e Tarhouna è controllata da una brigata di élite del Lna di Bengasi, la 7°, comandata dai fratelli Al Khani.

Ma le forze di Tripoli, con un fortissimo sostegno da parte dei miliziani turchi, sarebbero in procinto di entrare proprio in quella città, che è determinante per colpire e controllare la Tripolitania costiera.

I droni turchi sono essenziali per coprire e informare le forze del Gna verso Tarhouna che, se fosse perduta da Haftar, non permetterebbe più la catena dei rifornimenti da Bengasi verso l’Ovest tripolino, e quindi bloccherebbe definitivamente ai confini della Tripolitania il Lna di Khalifa Haftar.

Dopo aver conquistato Tarhouna, il Gna di Tripoli dovrebbe dirigersi verso Al Jufra, la città cardine per il controllo incrociato del Fezzan, della Tripolitania, della Cirenaica.

La guerra libica è, lo sanno tutti, una guerra per procura, che solo la sciattezza strategica degli occidentali non permette di risolvere in modo razionale.

Che sarebbe quello, alla fine, di determinare la nascita di uno Stato Federale Libico, con aree controllate da players locali in raccordo stabile con i loro referenti internazionali.

Ormai la possibilità di un nuovo stato unitario, come quello gheddafiano, in Libia, è sempre più remota.
È un male, lo sappiamo, ma ormai il disastro da “primavera araba” è stato compiuto anche in Libia, e soprattutto contro l’Italia, e non si piange sul latte versato.

Che abbiamo, peraltro, versato anche noi, obtorto collo e, probabilmente, senza avere la piena contezza di quello che stava significando la perdita della Libia per l’Italia.

Al Serraj, lo ricordiamo, ha ancora il sostegno dell’Onu, poi quello della Gran Bretagna autrice, immediatamente dopo la Francia, del regime change contro il colonnello della Sirte, poi anche un sostegno italiano, meno deciso, poi ci sono per Tripoli i finanziatori veri, ovvero il Qatar e la Turchia.
Ma perché Ankara sostiene Al Serraj?

In primo luogo, perché il governo di Tripoli è sostenuto dall’Onu. Ovvero uno spazio legale internazionale che è vitale per proteggere la Turchia nelle sue operazioni in Asia Centrale e nel Mediterraneo.

L’altro motivo è che questa fedeltà all’Onu dipinge un ruolo legalistico della Turchia, del tipo “noi siamo con lo Stato legittimo, altri sostengono un signore della guerra illegale”.

Poi c’è, ben più sostanzioso, l’accordo tra Ankara e Tripoli sulla Zona Economica Esclusiva tra i due Paesi, che permette alla Turchia di equilibrare il suo peso tra l’Est e l’Ovest del Mediterraneo; e infine Ankara non vuole affatto un’altra crisi dei rifugiati, anche nel Maghreb, che potrebbe rovesciarsi anche sulle sue coste, visto che la Turchia è già il Paese mediterraneo-asiatico con la massima concentrazione di rifugiati.

La Turchia, con il controllo futuro della sua Zee di esplorazione gasiera e petrolifera davanti alle coste di Tripoli, costruisce il suo ruolo assoluto di mediatore unico tra il petrolio e il gas mediorientale e i suoi consumatori europei e occidentali.

Una strategia, questa di Ankara, che è direttamente volta contro gli interessi greci ma soprattutto italiani, ma questo non è nemmeno noto, probabilmente, al governo di Roma, che ormai crede che la politica estera sia sempre una variante del leniniano “pranzo di gala”.
Dalla parte di Haftar, sia pure con varie gradazioni, ci sono la Francia, ancora asse dell’intelligence del Lna, ovviamente la Federazione Russa, lo abbiamo già visto, poi l’Egitto, che non vuole in nessun modo una “infezione” dei Fratelli Musulmani dalla Libia di Al Serraj attraverso la Tunisia, che è ormai peraltro una piattaforma turca, fino ai suoi confini, visto che è stato proprio Al Sisi a condurre un golpe contro la Fratellanza al potere in Egitto.

Poi, sempre dalla parte di Haftar, ci sono l’Arabia Saudita, ricca fornitrice di capitali e armi, e infine gli Emirati.
Da una parte della Libia il Qatar, dall’altra gli Emirati, è bene notarlo.
Il Qatar è il grande produttore mondiale di gas naturale, gli altri emirati estraggono petrolio, e i due mercati sono diversi e spesso contrapposti.

La Francia sostiene Haftar, questo è il punto, perché ritiene che sia l’unica forza militare credibile per controllare i passaggi di uomini ed armi nel Sahel, dove Parigi mantiene ancora la sua Operazione Barkhane, dal 2014.
Naturalmente, il fatto che un uomo legato alla Francia detenga gran parte dei giacimenti petroliferi libici, consente a Parigi di far fare la parte del leone alla Total, soprattutto contro gli interessi Eni.

Ma anche la Russia ha interessi petroliferi di notevole rilievo, con Tatneft e Gazprom, che operano in Libia fin dai tempi di Gheddafi.
Ma Mosca è intervenuta direttamente anche a favore delle truppe del Ciad operanti nel Sahel, truppe che sono in netta opposizione con quelle del Gna di Haftar, che pure la Russia sostiene in Libia.

Quindi, visto che le linee di collegamento possibili tra Bengasi e l’area degli scontri con il Gna di Tripoli sono ormai nelle mani dei miliziani turchi e di alcune altre “milizie” del Gna, allora per Haftar e per i suoi referenti l’unica scelta razionale, in questa fase, potrebbe essere quella di creare una grossa operazione politico-mediatica, in questi giorni, per poi arrivare con il massimo peso politico e militare a una trattativa internazionale che garantisca all’Lna un ruolo determinante nella futura spartizione della Libia; e soprattutto un ulteriore ruolo forte e credibile nella spartizione dei redditi petroliferi.

Ma cosa vuole davvero Haftar? Intanto il generale della Cirenaica vuole mantenere l’unità della Libia che, malgrado molti discorsi “federalisti” e a-storici degli analisti occidentali, è un sentimento molto diffuso tra la popolazione.
Poi, il sostegno al Lna di Algeria e Egitto è ancora determinante, ma lo è anche, essenziale, per i due Stati.
Senza la copertura di Haftar, l’equilibrio tenue tra jihad “della spada”, radicalismo islamico non ancora violento, laicismo tradizionale, sicurezza delle frontiere e interna, in Algeria ed Egitto, sarebbe del tutto compromesso.

Un ruolo che né Al Serraj né i protettori della Tripolitania possono assumere in proprio o garantire credibilmente ad Algeri e Al Cairo.
Arabia Saudita e Emirati, a parte il Qatar, non vogliono sentir nemmeno parlare della Fratellanza Musulmana, determinante nel governo di Al Serraj ma fortemente presente anche a Bengasi, per antichi motivi di stabilità interna, ma non vogliono soprattutto la crisi petrolifera e politica del secondo maggiore produttore di petrolio in Africa.

La mediazione tra i russi e Haftar è comunque ancora in mano ai Servizi algerini, peraltro. E le armi russe passano da Algeri, per poi essere assegnate ad Haftar.

Mosca, poi, non ha interesse a far vincere definitivamente il solo Haftar, di cui non si fida del tutto, ma sostiene l’LNA di Bengasi per avere un accesso preferenziale alle risorse petrolifere libiche; e per la già accennata possibilità futura di costruire una grande base nel Mediterraneo.

Mosca vuole, poi, una vera e definitiva trattativa tra Bengasi e Tripoli, ma in gran parte gestita dalla sola Russia, in attesa soprattutto dei grandi contratti post-bellici (la ferrovia Bengasi-Sirte, per esempio, da 2 miliardi di usd) e, comunque, gli interessi di Mosca in Libia sono soprattutto diretti a una rapida de-escalation del conflitto, una operazione direttamente collegata all’accordo strategico tra Turchia e Russia, che è primario, per la Siria e il Turkish Stream, rispetto agli altri scenari periferici. Tra cui quelli libici, dove Mosca si è inserita solo perché l’ingenuità occidentale glielo ha permesso. Certo, Bashar el Assad sostiene, anche materialmente, Haftar, mentre strane voci corrono su rapporti non casuali tra l’Iran e il Lna cirenaico.

L’idea migliore sarebbe, quindi, quella di “sanificare” la questione libica, mettendo fuori gioco i nuovi players esterni all’area europea, permettere un accordo tra Ue, Usa e Russia, per chiudere le operazioni belliche in Libia, creare Zone di Interesse Regionale dentro la vecchia area gheddafiana, trasformando l’economia di guerra delle infinite bande, che si autoalimenta e permette l’arrivo di tutti i players esterni che lo vogliano, in economia della ricostruzione, gestita magari dalle stesse bande che oggi si fanno la guerra.
Un progetto, dicevamo supra, federale ma in un quadro libico nazionale, che sancisca l’identità tradizionale del popolo libico e faccia passare da una economia di guerra alla grande ricostruzione.

Peraltro, il 20 gennaio di quest’anno, l’Italia e la Gran Bretagna hanno presentato una dichiarazione congiunta per condannare la chiusura dei pozzi petroliferi dell’area del sud-est libico, ordinate proprio da Khalifa Haftar.
La Francia, ovviamente, aggiungiamo, l’ha bloccata in sede Ue. Su questa risoluzione c’era anche un consenso di base Usa, consenso arrivato dopo una esplicita, e diretta, richiesta del governo di Tripoli.

Si doveva condannare il fato che “la Noc (compagnia di Stato libica) sia stata obbligata a sospendere le operazioni in installazioni critiche presenti in tutta la Libia” e si chiedeva, quindi, l’immediata riapertura di tutti gli impianti”.

La Francia ha chiesto, comunque, che si unissero nell’operazione Cipro e Grecia, due Paesi presenti con le loro diplomazie in Libia, il che vuol dire che, se la Turchia si prende Tripoli e parte, minima, del Mediterraneo Orientale, Parigi si acquisisce due Paesi di riferimento nell’area, Atene e Cipro.

E, forse, ancora il vecchio Libano, ormai in crisi finanziaria e lontano quanto basta dall’Arabia Saudita.
Dall’altra parte, i miliziani jihadisti turchi e pro-turchi raccolti a Idlib, in Siria, da Mit turco, che sono già a combattere, con duemila dollari al mese in media, per Tripoli. E 50mila dollari che vanno alle famiglie in caso di morte e 35mila Usd per invalidità gravi.
I turchi, poi, hanno annunciato l’invio di una nave per investigazioni petrolifere al largo della Somalia. Il cerchio libico si allarga, e questo crea l’instabilità continua e incontrollabile.

Dolore per gli Emirati, o operazioni di disturbo per gli Usa e i cinesi, al largo di Aden.

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