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La ritirata di Haftar è coperta di mine. La denuncia di Tripoli

Diverse mine di fabbricazione russa sono state ritrovate nelle aree urbane di Salah Eddin, al-Mashrou e Ain Zara, a sud di Tripoli, zone che nei giorni scorsi sono state liberate dall’occupazione haftariana per l’avanzata delle forze del Gna – le milizie che combattono il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, proteggendo il Governo di accordo nazionale (Gna).

Si tratta di ordigni tipo MON-50 e MON-90 o OZM-72 che sono stati usati in diversi posti del mondo (Sudan, Yemen, Ucraina) per minare parte dei territori occupati dopo la ritirata. Sono stati piazzati anche nei pressi delle abitazioni, addirittura sulle soglie degli edifici. Trappole esplosive pronte a far saltare in aria chi avrebbe rimesso piede in quelle aree.

Il governo internazionalmente riconosciuto con sede e Tripoli ha denunciato apertamente la situazione. Il portavoce delle forze tripoline dice che le milizie di Haftar “hanno piazzato diversi tipi di mine in cascine, strade principali, vie secondarie e all’entrata di case”, sostiene il testo precisando che gli ordigni “sono utilizzati contro veicoli e altri sono stati modificati per esplodere al passaggio delle persone, cosa che costituisce un grandissimi pericolo per i civili”. Questo tipo di impiego, aggiunge, delle mine “è lo stesso adottato dall’organizzazione terrorista Daesh a Sirte prima della sua liberazione nel dicembre 2016”, ricorda il portavoce riferendosi al sedicente Stato islamico (Is).

Mentre è in corso la bonifica, le operazioni del Gna procedono. Ora le unità del governo di Tripoli approfittano della fase di ritirata (tattica?) degli haftariani e spingono. Ci sono scontri in corso a Tawisha, a sud della capitale, dove la milizia Lna della Cirenaica ha respinto la controffensiva. Cosa che non è avvenuta ad Hamza e Yarmouk, dove sono state riconquistate due campi militari che Haftar utilizzava come avamposti tattici – il primo era caduto un anno fa circa, nelle prime settimane dell’offensiva per rovesciare il governo onusiano, il secondo a dicembre, quando il signore della guerra della Cirenaica sembrava poter conquistare la città e il paese.

Anche nell’area dell’ex aeroporto internazionale le truppe del Gna stanno sfondando le difese haftariane (proprio mentre questo articolo viene scritto, dunque non ci sono informazioni ulteriori sugli sviluppi, ndr). “Le evoluzione di questi giorni segnano un’ulteriore défaillance di Haftar e la sua campagna per la conquista di Tripoli, se non è già fallita, è a un passo dal fallimento. Chiaramente la riconquista di quei due campi militari, e se sarà dell’aeroporto, è molto importante perché permette di allargare la bolla di sicurezza attorno a Tripoli e consolidarsi in Tripolitania”, spiega Daniele Ruvinetti, che da anni segue la crisi libica.

“Resta ancora la questione di Tarhouna (città più a nord, a sudest di Tripoli, ndr)”. L’area è assediata dalle forze del Gna, capitanate dalle milizie di Misurata: da settimane si sta portando avanti una trattativa per evitare vittime civili, ma ieri sembrava partita un’operazione militare, poi fermata all’ultimo momento anche per l’intervento delle Nazioni Unite – che avevano espresso profonda preoccupazione – e degli Stati Uniti.

Ieri il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha chiamato il presidente del Consiglio presidenziale libico, il premier onusiano Fayez Serraj, per esprimere preoccupazione su eventuali escalation e chiedere il contenimento della Russia dietro Haftar (linea ripresa anche dall’ambasciatore Richard Norland.

“Le trattative sono riprese, ci sono stati dei bombardamenti, ma l’attacco di terra non è più partito perché si è ritrovato uno spazio per i colloqui ed evitare spargimenti di sangue: tra l’altro da ieri il Consiglio presidenziale ha nominato un nuovo sindaco a Tarhouna, per facilitare la situazione”, aggiunge Ruvinetti.

Le operazioni dunque continuano, nonostante i ministri degli Esteri turco e russo – rispettivamente sponsor del Gna e di Haftar – abbiano chiesto pubblicamente, in modo congiunto dopo un contatto telefonico, un cessate il fuoco. “È possibile – continua Ruvinetti – che Turchia e Russia siano effettivamente in accordo, anche pensando a quello schieramento aereo fatto arrivare dai russi dalla Siria. Credo che non serva per attaccare, quanto per consolidare una presenza russa in Cirenaica ed evitare attacchi turchi più profondi”.

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