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Huawei, no party. Se negli Usa anche gli afroamericani temono la Cina

Huawei, no party. La multinazionale della telefonia mobile cinese con base a Shenzen considerata “una minaccia per la sicurezza nazionale” dall’amministrazione di Donald Trump con l’accusa di spionaggio per il Partito comunista cinese (Pcc) continua a infervorare gli animi negli Usa. Anche nella comunità afro-americana.

Un evento della National Association of Black Journalists (Nabj) è stato cancellato all’ultimo minuto dopo che è stata fatta trapelare la sponsorship di Huawei, riporta il Wall Street Journal. Il webinar doveva affrontare il tema della “Crescita della disinformazione” e i suoi effetti sulle minoranze. Ospiti d’eccezione, il cantante e frontman dei Black Eyed Peas Will.iam e l’anchorman della Cnn Van Jones.

Martedì, a ridosso dell’appuntamento, l’associazione ha cancellato l’evento. Il motivo? Tom Cotton, battagliero senatore repubblicano dell’Arkansas, un frontrunner della linea dura contro la Cina a Capitol Hill, ha scovato il timbro di Huawei e ha puntato il dito contro il tentativo di diffondere propaganda cinese sul virus fra gli afroamericani.

La denuncia ha innescato un effetto domino. Uno dopo l’altro, gran parte dei panelist ha detto di non essere stata avvisata della partnership di Huawei, e si è tirata indietro. Così la Nabj ha calato il sipario, limitandosi a bollare l’evento imminente come “una distrazione da altre priorità”.

Non è bastato a placare le polemiche. Il quasi-evento targato Huawei è diventato un caso nazionale. Nel mirino un tweet della sussidiaria di Huawei, poi fatto sparire, che recitava: “La disinformazione sul Covid-19 sta colpendo duramente afroamericani, asiatici, ispanici, agricoltori e cittadini a basso reddito”. Una “chiara interferenza del Partito comunista cinese”, ha tuonato Cotton. Informato della notizia, la star della Cnn Jones ha tirato un sospiro di sollievo. “Felice che la Nabj lo abbia cancellato. Non avrei partecipato”.

Il piccolo incidente, cui invano Huawei ha tentato di porre riparo esprimendo rammarico per la “perdita della voce dei panelist in un momento in cui la disinformazione ha dimostrato di creare danni irreparabili”, è in verità una spia eloquente dell’opinione pubblica in vista delle presidenziali di novembre.

Ancora una volta l’ostilità verso il governo cinese ai tempi del Covid-19 si dimostra trasversale negli Usa. Non solo sull’asse politico repubblicani-democratici, ma anche nella comunità afroamericana che, come è noto, sposta più di qualche voto.

L’antipatia verso la Città Proibita è andata aumentando negli ultimi mesi fra gli afroamericani. Hanno fatto rumore, e suscitato indignazione, le voci delle discriminazioni verso africani e afroamericani nella città cinese di Guangzhou. Il consolato americano locale è stato costretto ad invitare gli afroamericani a non viaggiare più nella regione dopo un’ondata di controlli a tappeto, in gran parte ingiustificati, nella “Little Africa” del distretto di Yuexiu.

Ma il trend è trasversale. Un sondaggio di fine marzo del Pew Research ha rivelato che il 66% degli americani ha un’opinione “non favorevole” della Cina. Due anni fa non superavano il 47%. Di tanti dubbi che aleggiano sul voto di novembre, uno è stato definitivamente sciolto: il “fattore” Cina avrà un peso decisivo.

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