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La ricetta per una transizione digitale consapevole. Parla de Kerckhove

Il lockdown ha messo il pianeta di fronte a limiti, ma anche a opportunità di riflessione sul futuro. Una della risposte all’infodemia – la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza – che la pandemia da coronavirus in corso ha generato possiamo trovarla nell’intelligenza connettiva? Ovvero in quella intelligenza interattiva che si sviluppa attraverso le relazioni e i collegamenti acquisiti dalla rete telematica? E come si inseriscono in questo contesto gli algoritmi e le app per il tracciamento? Formiche.net ne ha parlato con il sociologo Derrick de Kerckhove, giornalista e direttore scientifico di Media Duemila, per comprendere come poter gestire una transizione digitale consapevole.

Professore, il coronavirus ci ha mostrato la natura virale dell’informazione in un contesto di informazioni globali, istantanee e condivise, ma il cittadino digitale soffre un sovraccarico di informazioni?

Sì. Quella che è stata definita “infodemia”. Vedo una forte associazione tra infodemia e pandemia, perché l’uno come l’altro sono affette dalla natura virale del contagio, alimentano la paura e una falsa sintonia-sinfonia, che crea più confusione che aiuto e genera una profonda divisione tra i Paesi nel mondo.

Ci spieghi meglio.

La situazione attuale riproduce lo stesso cambiamento nella relazione dell’uomo con l’informazione e suscita la stessa incertezza, la stessa divisione e la stessa violenza a cui abbiamo assistito nel rinascimento durante le guerre di religione. Le ragioni sono le stesse, ovvero, la base della nostra cultura sta cambiando molto più velocemente di quanto possiamo sopportare. Si è sviluppata una tendenza a chiudersi in sé stessi, che è l’opposto dello status di “intelligenza connettiva” che ci si aspetta dalla Rete.

Quindi, siamo sempre più “tecnicamente interconnessi” ma a questo non corrisponde una crescita di coinvolgimento comunitario e partecipazione collettiva al bene comune?

In Occidente no, ma la situazione è molto diversa in Asia e in Estremo Oriente, dove la Rete si impone in un sistema di dominio comunitario. L’Europa è molto diversa, ha una base più individualista.

In questo scenario tra app per il tracciamento digitale e il distanziamento sociale, viene alla mente Orwell. Se ogni azione che compiamo online viene monitorata si arriverà a una sorta di Grande Fratello tecnologico?

Non so se arriveremo ai paradigmi orwelliani, ma la trasformazione digitale è anche questo, trasformazione psicologica e umana. Esattamente come quella alfabetica. Si tratta di vedere a che punto il digitale ci ha già trasformati. Siamo accelerati dal digitale, senza sforzo e senza che uno se ne accorga, viviamo tra pc e telefonini.

Stefano Rodotà, uno dei padri di Internet riteneva che la Rete avrebbe prodotto una straordinaria “democratizzazione” della conoscenza, sia per quanto riguarda la quantità di informazioni disponibili, sia per quanto riguarda il trasferimento a tutti gli utenti del potere di divenire essi stessi produttori di contenuti. Cosa ci aspetta in futuro?

Insieme a Stefano, abbiamo vissuto l’arrivo dirompente della Rete e la possibilità di ciascuno di noi di interagire attraverso lo schermo, però la cosa che né io né lui a suo tempo avevamo capito era che questa tendenza, accelerata dal digitale, di ciascuno a diventare produttori di contenuti online avrebbe portato come risultato proprio all’infodemia.

Di fronte ai mutamenti epocali a cui oggi stiamo assistendo, la domanda è: come e quando arriveremo alla transizione che lei definisce da “città intelligente” a “pianeta intelligente”?

Questo è il momento di fermarsi e pensare come poterci arrivare, meriterà una particolare attenzione l’ambiente e il bene comune. Ma fondamentalmente, questa accelerazione della digitalizzazione porta a una situazione completamente diversa che vede sempre più al centro gli algoritmi. In passato ci si affidava alla scienza, oggi sono gli algoritmi a prendere il posto di un sistema di validazione nuovo. La trasformazione digitale è giunta a maturazione con l’epoca moderna come è stato per la cultura alfabetica.

Professore, lei è stato tra i primi a studiare le connessioni tra le neuroscienze e l’analisi dei media digitali. Come vede il futuro del giornalismo?

Il problema principale oggi è l’autorevolezza. Si pone una necessità di doppia verifica e un duplice ruolo del giornalista, ben oltre il tradizionale “reporting”. È necessario garantire profondità dei contenuti e affidabilità dell’informazione.

Foto di Fathromi Ramdlon da Pixabay



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