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Infortunio sul lavoro, Stato padrone e imprenditori. Così non va

Di Giuseppe Benedetto e Antonio Trimboli

La torrenziale produzione normativa delle ultime settimane appare inarrestabile. È interessato ogni settore della società, a partire da quello economico. In questi suoi interventi il Governo sembra avere una particolare attenzione per lo spirito imprenditoriale, tanto che oggi i cittadini/imprenditori non solo devono far fronte da soli agli effetti economici causati del virus cinese ma, a seguito dell’art. 42 del decreto Cura Italia, vedono anche accresciute le loro aree di responsabilità, ivi compresa quella penale. La norma in questione prevede che se un lavoratore venisse contagiato dal virus in occasione dell’ attività lavorativa ciò costituirebbe infortunio sul lavoro, con conseguente responsabilità dell’evento morboso (lesione o morte) in capo al datore di lavoro ove si ritenesse quest’ultimo inadempiente al proprio onere di garantire la sicurezza del lavoratore.

Si tratta di un’ipotesi per nulla remota, laddove si consideri tanto l’ampiezza del concetto di occasione di lavoro, il quale può ricomprendere anche quanto accade al di fuori del luogo o dell’orario di lavoro, quanto l’elevata diffusività del virus e il lento sviluppo della sua sintomatologia.

La combinazione di questi fattori costituisce un amplificatore fenomenale del rischio penale del datore: il lavoratore potrebbe aver contratto la malattia in famiglia o altrove ma, continuando a lavorare prima della manifestazione dei sintomi, attribuirne la causa al posto di lavoro.

Se poi rimanessero ancora dubbi su un eventuale ricorso generalizzato allo strumento penale in caso di infortunio sul lavoro, nulla di meglio per fugarli che guardare alla nostra giurisprudenza, la quale ha sempre ampliato a dismisura gli obblighi cui il datore deve sottostare per essere esente da responsabilità penale, tanto da ritenere doveroso per l’imprenditore l’adozione di misure di sicurezza non previste da norme ad hoc o la sorveglianza continuativa dei lavoratori.

Pertanto anche un aggiornamento preventivo dei modelli organizzativi conformi al TU 81 del 2008, magari attraverso la previsione di presidi che vadano oltre guanti e mascherine (es. tamponi o test sierologici), non basterebbe a mettere al riparo l’imprenditore da responsabilità penali o le società ai sensi del D.lgs. 231 del 2001.
Ancora una volta si continua ad intervenire senza una visione di sistema, bensì attraverso norme di cui non si ponderano gli effetti, specie quando questi interessano la categoria degli imprenditori che è l’unica a creare valore e permettere, grazie alle esose tasse dovute ogni anno allo Stato padrone, anche il pagamento degli stipendi pubblici.
Immaginiamo l’angoscia del datore di lavoro, che dopo una penosa visita allo studio del suo Avvocato, può trarne due conclusioni: chiudere la propria attività o affidarsi alle preghiere.

Come si può pensare di sottoporre a queste forche caudine chi già sta soffrendo tanto? Chi scrive certe norme si rende conto dei danni che può causare, soprattutto ai piccoli imprenditori?

E poco vale il sostenere “ma alla fine se l’imprenditore ha fatto quanto era in suo dovere sarà riconosciuta la sua estraneità ai fatti contestati”. I costi e i patimenti causati da un procedimento penale o civile saranno comunque sofferti dal solito albergatore, barbiere, barista, ristoratore, estetista, panettiere…

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