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Innovazione e opere pubbliche. La ricetta di Torino per l’Italia. Intervista a Chiara Appendino

Ripartire e rinascere, ma in sicurezza. È il mantra che continua a ripetere Chiara Appendino, 35 anni, sindaca di Torino e leader in ascesa del Movimento Cinque Stelle. In questa intervista a Formiche.net racconta la sua strategia per far uscire dalla morsa della crisi una delle città che, ancora oggi, ne paga il prezzo più alto, e che però può e deve dare un impulso vitale alla nuova vita del Paese. Innovazione e mobilità, turismo e commercio, così Appendino immagina la sua città nei mesi che verranno. Occhi e mente sono rivolti alla sua Torino, ora. E dopo? Dopo vorrà ancora occuparsi della cosa pubblica, confida, ma “si può fare sia dentro sia fuori dalle istituzioni”.

Sindaca Appendino, la pandemia arriva in un momento già difficile per il nostro Paese e per i grandi centri urbani italiani. Come ha impattato il lockdown sulla città di Torino e sui tanti progetti in corso?

Torino, come tutte le città, è stata pesantemente colpita dal lockdown.
In primis lo sono stati i cittadini torinesi. Nonostante il diffusissimo rispetto delle regole e delle prescrizioni delle autorità – motivo per cui torno a ringraziarli – è innegabile che l’impatto economico, psicologico e sociale sia stato molto pesante. Penso ad esempio alle famiglie, che si sono trovate da un giorno all’altro costrette in casa dovendo ricostruire abitudini e termini delle relazioni. Ma penso anche ai bambini, senza scuola e senza la possibilità di uscire a giocare nonostante l’arrivo di una bellissima primavera. Così come agli anziani, alle persone fragili e a tutti coloro che sono rimasti soli. Ricordiamolo sempre, il Covid-19 non è uguale per tutti. Non è uguale per una famiglia di cinque persone in 40 metri quadri e per una famiglia di due persone in 100 metri quadri. E io non dimenticherò mai i commenti ai miei post sui social delle madri che mi dicevano “Viviamo in 35 metri quadri e mia figlia deve seguire le videolezioni in bagno”. E poi c’è il tema – fondamentale – economico.

Ovvero?

I cittadini sono stati duramente colpiti nelle loro risorse, ma non sono gli unici. Noi, come Città, abbiamo avuto minori entrate per 240 milioni di euro, su un bilancio di circa 1,3 miliardi. E la sfida è quella di mantenere in piedi i servizi essenziali per i cittadini. Cosa che stiamo facendo ma con enormi sforzi. E, se non arriveranno aiuti, non potremo andare avanti a lungo.

L’emergenza ha messo in evidenza e ha aggravato situazioni di difficoltà dei cittadini, soprattutto le fasce più deboli. Ha riscontrato impreviste difficoltà sul fronte sociale (nuove povertà, homeless, periferie) e, se sì, come sono state affrontate?

Sì, certo. Chi viveva già ai margini della società e magari sopravviveva di espedienti ha vissuto sulla sua pelle gli effetti peggiori del lockdown. Una volta chiuso tutto sono rimasti senza tutele ed è su di loro che, come città, ci siamo immediatamente concentrati. Nessuna città può permettersi di lasciare soli gli ultimi. In tempo record abbiamo creato la rete Torino Solidale per raggiungere le famiglie più in difficoltà con beni alimentari e generi di prima necessità.

Di che si tratta?

È un progetto che si appoggiava a una rete già molto solida e diffusa già esistente – un vero e proprio welfare di comunità – che abbiamo messo a sistema, coordinato e potenziato. E che rimarrà anche dopo questa crisi.
Poi, sempre molto celermente, abbiamo messo a punto la piattaforma per la distribuzione dei buoni pasto. E, ancora, abbiamo creato spazi virtuali per stare più vicini a coloro che avessero bisogno di sostegno psicologico e messo la tecnologia a disposizione delle persone più fragili. Penso, ad esempio, al sistema di videochiamate consegnato alle Rsa per permettere agli ospiti di vedere le loro famiglie.

Certamente l’organizzazione del lavoro ha subito anch’essa un forte impatto. Come si è attrezzato il comune di Torino nei confronti dei propri dipendenti? Si possono trarre spunti per immaginare una nuova organizzazione del lavoro?

Sì. Credo che sarà nostro dovere trasformare le difficoltà in opportunità per il futuro, e il tema del lavoro è uno di questi fronti.Torino, ad esempio, già da tempo aveva implementato lo smartworking. In questa fase non abbiamo fatto altro che ottimizzare ciò che già c’era, arrivando a disporre il 60% dei nostri dipendenti in lavoro remoto. Non solo, nel piano di rilancio che abbiamo presentato prevediamo 1600 postazioni fisse di lavoro in remoto.
La presenza fisica, durante l’emergenza, è stata richiesta a chi doveva garantire servizi essenziali, con tutte le precauzioni necessarie. Ora è tempo di ripensare il nostro modo di intendere il lavoro, i rapporti professionali e tutto ciò che gli gira intorno. Dagli spostamenti all’uso delle nuove tecnologie.

Quali misure sono state prese in supporto alle imprese e al commercio?

Abbiamo immediatamente sospeso le imposte. La tassa rifiuti, sia per le utenze domestiche che per quelle non domestiche. Idem per il suolo pubblico. Sono solo alcune delle manovre che si aggiungono a quelle di Governo e Regione. Ma, con un approccio di più ampio respiro, stiamo presentando tutto ciò che viene messo in campo per la Fase 2. Si tratta di una situazione totalmente nuova che non può essere pensata con strumenti del passato.

Come allora?

La città si riadatta a vivere gli spazi aperti. I nostri parchi, le nostre aree verdi (tra l’altro, Torino è una delle città più verdi al mondo). Qui verranno ripensate le attività commerciali per farle ripartire, dando anche nuovi incentivi. Penso, ad esempio, alla possibilità di estendere gratuitamente i dehors. Allo stesso modo viene ripensata la mobilità, spingendo sulla mobilità privata sostenibile. Ad esempio, abbiamo già annunciato 95 Km di nuovi percorsi ciclabili che si aggiungono ai 200 già esistenti. Quasi il 50% in più. Infatti non basta creare le condizioni per la ripartenza ma è necessario pensare a come far tornare i cittadini a vivere gli spazi della città in sicurezza.

Il turismo è uno dei settori certamente più colpiti dall’emergenza. Torino negli ultimi anni ha fatto molti progressi su questo fronte, che visione ha per il futuro del turismo e quali soluzioni avete in cantiere?

Il turismo in questi ultimi anni è cresciuto tantissimo. Si tratta di uno dei settori strategici che crea opportunità e dà lavoro a migliaia di famiglie.
Negli ultimi anni abbiamo lavorato duramente per creare narrazioni di ampio respiro della durata di un anno su temi specifici. Penso all’anno di Leonardo o a quello del cinema. Con decine di nuovi eventi. Noi partiremo da subito con un grande piano di rilancio, anche di concerto con altre Città.

In cosa consiste il piano?

La nostra strategia prevede due momenti. Un primo momento, che coincide con la Fase 2, che mira ad attrarre principalmente turisti dal nostro Paese. Sappiamo che la mobilità internazionale è limitata e che Torino ha un potenziale inespresso anche per molti italiani, per questo motivo, in questa fase, puntiamo sull’attrarre qui nostri connazionali.

Poi?

Vi sarà poi un secondo momento dove la vocazione turistica internazionale di Torino tornerà a farla da padrone. Sia grazie al patrimonio storico, artistico e culturale che le è proprio, sia per eventi straordinari. Non dimentichiamo infatti che Torino ha vinto le Atp Finals, evento tennistico di portata mondiale, che partirà l’anno prossimo e arriverà fino al 2025. Con ricadute economiche nell’ordine dei 600 milioni. Provvidenziale in questo momento.

La ripresa passa anche dalla riapertura di grandi e piccoli cantieri cittadini. Quali i progetti per Torino? Come si progetta la trasformazione di una grande città in tempi di emergenza?

Anche in questo caso, con il nostro Assessorato all’urbanistica abbiamo già presentato il piano di trasformazione della città. I cantieri sono ripartiti non appena è stato possibile, anche per cogliere l’occasione dello scarso traffico nelle strade. Ma, oltre a manutenzioni ordinarie e straordinarie, ci sono le grandi trasformazioni su cui stiamo lavorando.

Quali?

Dalle Ogm alla Ex-Diatto. Passando per i lavori nella vecchia stazione di Torino Porta Susa e ai tanti investimenti che vengono fatti nel settore immobiliare. Che tuttavia, è bene ricordarlo, per noi deve sempre privilegiare la riconversione dell’esistente piuttosto che la costruzione ex-novo.
Per dare un dato, nel 2017 siamo stati l’unica città in Italia che non si è limitata a ridurre il consumo di suolo ma ha avuto addirittura un consumo di suolo negativo: -5%. E poi c’è la realizzazione della Metro 2, un investimento da 4 mld n parte già finanziato che trasformerà completamente prima la zona Nord di Torino per arrivare a quella sud.

Anche la mobilità dovrà essere fortemente rivista e adeguata alle nuove norme. Come si è attrezzata la città e in quale direzione sta andando?

La mobilità è un tema cruciale ed è uno dei settori che vede un cambio di paradigma più marcato. Se infatti, pre-pandemia, tutte le città si orientavano a una mobilità pubblica sostenibile, oggi è necessario concentrarsi su una mobilità privata. Questo perché, ovviamente, è minore il rischio di contagio. Noi, dall’inizio del nostro mandato, abbiamo lavorato su due canali paralleli. Trasporto pubblico (dove abbiamo acquistato nuovi autobus, arriveranno nuovi tram e la già citata Metro 2) e mobilità ciclabile.

Ecco, quest’ultima sarà la protagonista. Senza dubbio. Avevamo già un biciplan che abbiamo accelerato.L’obiettivo è creare le condizioni per fare in modo che il maggior numero di cittadini possibile scelga la bicicletta anziché l’auto privata. La bici non è solo il mezzo più sicuro in questo momento, come ha detto l’Oms, ma è anche il più sostenibile, efficiente ed economico per chi vive in Città.

Come procedono i lavori?

Abbiamo già iniziato i lavori per 95 nuovi Km di vie dedicate alle bici. Tra questi ci saranno controviali a 20 Km/h con priorità ciclabile, piste ciclabili con sede propria e bike lane. Oltre a soluzioni innovative come le “case avanzate”, replicate dai modelli dei Paesi del nord.

Come pensa che le nuove abitudini cambieranno la vita della città e dei quartieri, nei rapporti tra i cittadini, con il commercio e con la pubblica amministrazione?

Le abitudini sono già cambiate. Molti cittadini hanno riscoperto la vita di quartiere e molti commercianti si sono adattati alle nuove forme di commercio, come il digitale o la consegna a domicilio. E io credo che la direzione sarà sempre più quella. Ritorna quello di cui già parlavamo 4 anni fa. La città policentrica. Dove il quartiere torna ad essere protagonista. Con le sue caratteristiche, i suoi negozi di prossimità, le sue abitudini e i suoi tratti peculiari, vissuti e alimentati dai cittadini.

L’emergenza ha messo in evidenza il rapporto non sempre facile tra governo, regioni e comuni. A suo parere si possono trarre degli insegnamenti utili per il futuro nell’ambito delle catene decisionali e dei rapporti istituzionali?

Questa vicenda sta dimostrando, una volta di più, che le difficoltà si superano lavorando insieme. In alcuni casi lo abbiamo fatto bene, in altri meno. Non è il luogo né la sede per entrare nel dettaglio e le somme si tireranno alla fine. Quello che però ho potuto constatare è che quando si è collaborato bene, nell’interesse dei cittadini, le risposte sono arrivate. Sempre migliorabili, ci mancherebbe, ma ci sono state e – posso dirlo – hanno aiutato tante tante persone in difficoltà.

Quale immagina possa essere il futuro delle grandi città dopo la fine della pandemia? Quale ruolo avranno nel “nuovo mondo”?

Si stima che nel 2030 il 70% delle persone vivrà nei centri urbani. Le città avranno un luogo sempre più centrale poiché è l’Ente più vicino ai cittadini e quello che risponde alle esigenze più pratiche. Dagli spostamenti, agli acquisti, al tempo libero. Io penso che tutti i livelli di governo dovranno aver presente molto bene questa peculiarità. Le città tengono in piedi la società moderna.
Stanziamenti, risorse, relazioni dovranno essere pensate di conseguenza.

Quali sono le prospettive future della sindaca Appendino? Si parla insistentemente di una ricandidatura.

In questo momento la mia attenzione è totalmente rivolta all’emergenza che stiamo vivendo, inoltre sono ancora molte le iniziative da portare a termine nei prossimi mesi. Certamente vorrò ancora occuparmi della cosa pubblica e della comunità alla quale appartengo, ma ciò si può fare sia dentro sia fuori dalle istituzioni.



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