In Italia, fino al 1970, le entrate pubbliche hanno superato le spese correnti, determinando un avanzo che andava a finanziare in parte gli investimenti pubblici. Tutti i deficit ed i debiti accumulati negli anni cinquanta e sessanta erano pertanto dovuti esclusivamente a spese di investimento.
In quel ventennio la crescita media annua italiana è stata attorno al 5%. Ci fu il miracolo economico e la “congiuntura” avversa del ‘62/’63 fu superata in due trimestri. L’Italia diventò la sesta/settima economia del mondo. Poi ci fu il sessantotto degli studenti ed il 1969 dei sindacati. E così, all’inizio degli anni settanta, furono introdotte le pensioni di anzianità (paghi due di contributi prendi tre di pensione) con età media di pensionamento a 55 anni e vita media che cominciava ad allungarsi verso gli 80 anni.
Poi le baby-pensioni con possibilità di andare in quiescenza dopo 14 anni, 6 mesi ed 1 giorno e quindi ci siamo ritrovati con pensionati (fortunatamente per loro tuttora viventi) che sono andati in pensione a poco più di quarant’anni. Poi è stata fatta la riforma fiscale e sono state istituite le Regioni.
Con la prima si è concentrata la responsabilità di tassare sul governo centrale per oltre l’85%. Con la seconda si è lasciata licenza di spendere alle Regioni ed agli enti locali per più del 50%.
Poi si è fatta la riforma sanitaria con il servizio sanitario nazionale affidato come spesa al totale arbitrio delle regioni. Ed è così che in quegli anni settanta si sono formati i due terzi dell’attuale debito pubblico italiano, per i primi dieci anni nascosto sotto il tappeto da quella che gli economisti chiamano “illusione monetaria”.
Il fatto cioè che con un’inflazione tra il 15-20% ed i tassi di interesse nominali appena sopra il 10%, i poveri risparmiatori italiani, accecati dalla illusione monetaria, non hanno percepito che ogni anno, dopo avere prestato soldi allo Stato, vedevano decurtato anche il valore reale del proprio capitale.
Poi nel 1978, qualcuno tentò di mettere qualche paletto di rigore. E fu varata la legge 468, quella che introdusse la “sessione di bilancio” e la “legge finanziaria”. Ci fu un grande dibattito in quel momento ed il fronte dei rigoristi fu guidato da Nino Andreatta che, all’Arel alimentò seri confronti anche con esperti stranieri ivi incluso il direttore generale del Congressional Budget Office (Cbo), l’organo indipendente americano che risponde al Congresso valutando le manovre di finanza pubblica ed i loro effetti sul sistema economico.
Si tentò di introdurre due argini rigidi. Il primo era quello di evitare tagli “finti” sulle spese tendenziali future che di fatto avrebbero nascosto la realtà di aumenti “veri” di anno in anno della spesa pubblica e si discusse uno schema di zero-base-budgeting (Zbb). Si sarebbe cioè dovuto, come minimo, fare riferimento alle spese vere dell’anno precedente e su queste cifre decidere se aumentare o tagliare.
Il secondo era quello di non far aggirare l’art. 81 della Costituzione che per ogni spesa prevederebbe rigidamente la necessaria copertura. Lo sparuto fronte dei “rigoristi” perse la partita su entrambi i fronti. I tagli alla spesa continuarono ad essere riferiti alle “spese tendenziali future”. E così, ogni anno per trent’anni, si sono annunciati tagli finti di spesa megagalattici che di fatto rappresentavano un aumento vero di spesa corrente senza controllo. L’art. 81 fu aggirato con una interpretazione formal-giuridica, considerando che l’art.1 di ogni legge finanziaria stabiliva il tetto massimo al deficit e quindi…c’era una legge che dava la copertura a tutte le spese, deficit compreso!
All’inizio degli anni ottanta, Nino Andreatta diventò ministro del Tesoro e introdusse il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, in modo tale che il giochetto della illusione monetaria non potesse essere più fatto. Con il Tesoro che non poteva più chiedere alla Banca d’Italia di “stampare moneta”, ma doveva trovare il finanziamento sui mercati dei capitali ed attirare con i tassi di interesse i risparmiatori, gli stessi tassi di interesse cominciarono a crescere e soprattutto furono sempre superiori all’inflazione.
Da lì, il debito pubblico “nascosto” negli anni settanta, diventa palese e dirompente anche a seguito della spirale interessi-debito-deficit-debito-interessi. Ed è così che la finanza pubblica italiana torna indietro di secoli e diventa “Tolemaica”, come lo è stata anche negli anni recenti e tutt’ora.
Perché Tolemaica?
Perché al centro del mondo sta la spesa pubblica corrente che cresce senza controllo perché considerata come strumento di raccolta del consenso. Nei primi venti anni, attorno ad essa “ruotano” deficit e debito pubblico. Nei secondi venti anni, dopo l’euro e la Bce e quindi senza inflazione e svalutazione, attorno alla spesa pubblica corrente hanno dovuto ruotare aumenti delle tasse e tagli drastici alle spese di investimento.
E così con più spesa corrente (sempre più grassa per alimentare i veri “costi della politica” come acquisti, forniture, appalti, sussidi a fondo perduto, finanziamento a piè di lista di servizi sociali che di sociale hanno spesso la socializzazione delle ruberie di ristrette combriccole e non le prestazioni vere di servizi ai cittadini), con più tasse sui tartassati e diffusa evasione fiscale e meno investimenti pubblici infrastrutturali, il bilancio pubblico, intermediando il 50% del Pil, ha esercitato anno dopo anno una lenta ma inesorabile e progressiva riduzione della base produttiva del paese.
E dall’età dell’oro della crescita al 5% ci siamo ritrovati negli ultimi anni alla crescita “0”. Con la crescita zero si aggravano i problemi di equilibrio finanziario (deficit e debito) in una perversa spirale senza fine che assomiglia sempre più al supplizio spagnolo della garrota.
Ecco perché, nella politica economia italiana, occorre abbandonare Tolomeo e scoprire Copernico.
Al centro sta la crescita economica, il benessere dei cittadini, l’equità tra le generazioni e l’equità sociale tra le varie fasce di popolazione. “Attorno” deve ruotare una spesa pubblica corrente, asciugata, efficiente e misurata in termini di servizi veri che arrivano ai cittadini.
La trasparenza della politica e della politica economica deve quindi abbandonare i tagli orizzontali e percentuali riferiti a numeri futuri che non esistono e deve basarsi sui dati storici degli anni precedenti e su questi “scegliere” dove e cosa aumentare e dove e cosa ridurre. Con un doppio vincolo assoluto alla “classe politica”: quello di non poter fare deficit e quello di non poter tassare all’infinito.
E Copernico va introdotto a maggior ragione oggi quando i vincoli europei su deficit e su debito sembrano allentarsi, anche perché i mercati finanziari non allentano le loro ragioni di comprare o no titoli di Stato italiani. Neanche oggi infatti si tratta di …spendere e spandere. Si tratta piuttosto di fare una profonda e seria rilettura del nostro bilancio pubblico per rimodulare le poste di spesa ed entrata per destinare le risorse a ciò che serve davvero.
Da anni la Corte dei Conti dice: “dentro” i 900 miliardi di euro di spesa pubblica ci sono 60 miliardi di “corruzione”, “dentro” gli 840 miliardi di euro di tasse “mancano” 120 miliardi di “evasione”. Totale, tra corruzione ed evasione, 180 miliardi di euro, cioè oltre il 10% del Pil.
Anni fa, quattro economisti (Ardizzi, Petraglia, Piacenza e Turati) hanno pubblicato per la serie Temi di Discussione, n.864, della Banca d’Italia, uno studio nel quale stimano le dimensioni dell’economia sommersa (quella cioè fatta per evitare di pagare tasse e contributi) e dell’economia illegale (quella cioè che oltre a non pagare tasse e contributi è totalmente fuori legge, prostituzione e droga incluse).
In media, l’economia sommersa risulta pari al 16,5%, quella illegale pari ad un aggiuntivo 11%. In totale poco meno del 30% del Pil, cioè circa 500 miliardi di euro. Questi “numeri” sono asettiche analisi di un Organo Costituzionale delle Repubblica Italiana e contributi scientifici di coraggiosi studiosi e pertanto vanno relegati ad un dibattito tra “tecnici ed esperti”?
O al contrario toccano la carne viva della società italiana, ancor di più di fronte alla recessione in atto, a milioni di famiglie in difficoltà, a milioni di senza lavoro, in gran parte giovani e donne, a più di centomila piccole e medie imprese che rischiano di chiudere bottega entro l’anno?
Qui sta il paradosso dell’economia, della società e della politica italiane. Da un lato abbiamo i bisogni della gente (famiglie, imprese in testa), dall’altro lato abbiamo le risorse per produrre e crescere e quindi per soddisfare al meglio quei bisogni, che non sono solo economico-sociali ma anche e soprattutto bisogni di avere “un progetto di vita” per milioni e milioni di cittadini.
Il cuneo profondo che impedisce di usare al meglio le risorse che abbiamo sostenendo una crescita della produzione e dell’occupazione che consentirebbe di soddisfare al meglio i bisogni di tutti è rappresentato da “quei numeri”! E a difendere strenuamente e con mille subdole scuse quel cuneo profondo sono impegnate le tante cosche mafiose e non, le tante aree grigie tra economia e politica, le tante connivenze trasversali e diffuse che fanno “sguazzare” oltre mezzo milione di italiani, che godono di quei numeri a danno degli altri 56 milioni di cittadini, con oltre 20 milioni di contribuenti onesti.
Ecco perché “questi numeri” non possono essere silenziati e relegati a questioni da dibattere tra tecnici o da limitare ad estroverse esternazioni di un organo costituzionale dello Stato.
La politica e l’intera classe dirigente è chiamata a rispondere a quei numeri. Non con slogan buonisti pieni di pie intenzioni, non con le trafile dei quant’altristi, non con troppi si…ma, né tantomeno negando la realtà di quei numeri o nascondendo la drammaticità delle condizioni economiche e sociali della gente, come fatto fin qui per troppi anni.
L’economia, la società, l’equilibrio tra le generazioni e tra i territori si reggono solo e contestualmente su tre gambe: Crescita economica, Equità sociale, Rigore finanziario. O queste tre gambe stanno contestualmente insieme, oppure nessuna delle tre può stare in piedi.
Questa è la “madre” di tutte le questioni. Così facendo saremo ben più credibili e ben più titolati per chiedere all’Europa di diventare anch’essa copernicana rafforzando il bilancio dell’Unione ed in prospettiva avviando una emissione di debito europeo condiviso.
1.- Il re è nudo… in Occidente
Il finto abito del re è stato tessuto con un peccato originale e cucito su tre paradossi
2. – Cosa ha fatto l’Europa di fronte al coronavirus
E gli Stati Uniti d’Europa sono solo utopia?
3.- Due premesse di teoria economica
3.1- Equità e Crescita
3.2- Gli equilibri multipli di J.M. Keynes
4.- Cosa ha fatto l’Italia per quaranta anni…prima del coronavirus
Tolomeo o Copernico?
5.- Cosa ha fatto l’Italia di fronte al corona virus
E cosa deve fare per il 2020 e 2021