Dopo settimane di attesa, l’Eurogruppo ha finalizzato lo scorso venerdì i termini con i quali il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) presterà la sua assistenza ai paesi dell’Eurozona che la richiederanno.
A fronte di un dibattito che in Italia si è concentrato sull’ampiezza e la profondità dei presidii di monitoraggio – la cosiddetta condizionalità – poco o nulla si era detto – né era emerso – sui termini a cui il Mes avrebbe prestato la sua assistenza.
Il Mes presterà a un tasso praticamente nullo, monetizzando l’alto merito di credito dei paesi nordici membri della stessa istituzione, che le consentono di raccogliere sul mercato con il massimo rating. Anche la scadenza del prestito, che non era nota sino all’altro giorno, è stata fissata in un arco di tempo non breve ma decennale.
Sull’aspetto spinoso del tenore della condizionalità, l’Eurogruppo ha precisato che sarà limitata alla finalità per la quale il prestito verrà acceso – appunto, il rafforzamento delle politiche e dei presidi sanitari contro la pandemia – e si fonderà su procedure semplificate, in tal modo allineandosi alle migliori pratiche internazionali delle istituzioni multilaterali.
Basteranno queste decisioni a normalizzare la relazione che l’Italia ha da qualche tempo instaurato con un’istituzione di cui è il (silenzioso) terzo azionista e pure diligente creditore netto?
Probabilmente no. E non per ragioni che riguardino l’eccellente professionalità di chi, in quell’istituzione, presta la propria opera. Cerchiamo di capire il perché, richiamando come le istituzioni di Bretton Woods hanno affrontato simili problematiche nella loro più lunga storia.
Innanzitutto, partiamo dalla tattica. L’impressione è che l’adesione a un eventuale programma Mes fosse già scritta e che, nelle preziose settimane sinora trascorse, il capitale politico sia stato impiegato a rendere attraente un’opzione decisa preventivamente. Se l’impressione fosse realtà, e sottolineo ‘se’, si sarebbe persa l’opportunità di generare quel confronto interno al Paese che la poteva rendere scelta opportuna e legittima piuttosto che calata dall’alto.
A maggior ragione in un Paese che manifesta da qualche tempo spinte eurofughe rispetto alla sua tradizionale bussola europeista, sarebbe importante sollevare un dibattito equilibrato in cui scelte rilevanti come queste siano oggetto di un ampio confronto, anche per fugare timori che non hanno ragione di essere.
Peraltro, le istituzioni multilaterali, come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, ne hanno capito da tempo l’importanza per l’efficacia dei propri programmi di assistenza, sviluppando il concetto di ownership come condizione soggettiva del paese richiedente. Questa si fonda sull’opportunità di un ampio confronto come condizione auspicabile per la richiesta di assistenza.
Allo stesso tempo, lo sbandierare nelle recenti quarantott’ore i termini vantaggiosi del prestitio Mes come la sconfitta di quanti dentro e fuori la maggioranza erano tiepidi all’idea di un ingaggio con l’istituzione lussemburghese, non aiuta nel de-conflicting.
Oltre la tattica, vi è, poi, l’aspetto sostanziale della condizionalità. Buona parte delle forze politiche e sociali che hanno riserve sul Mes ne temono una condizionalità potenzialmente intrusiva. Anche questo sentimento non è nuovo nei confronti delle istituzioni finanziarie internazionali.
Il Fmi decise di porvi rimedio solo dopo diversi decenni e, all’inizio degli anni 2000, varò una serie di importanti riforme che lo portarono a de-enfatizzare la condizionalità nei suoi programmi, avendo diverse analisi mostrato che l’efficacia dei suoi interventi era inversamente proporzionale all’intrusività e al rigore delle stesse.
Nel caso italiano, il quadro si complica perché l’enorme mole di debito pubblico, che alla fine dell’anno dovrebbe toccare il valore record del 160 per cento del Pil, crea un significativo elemento di vulnerabilità dell’Italia nel rapporto con le istituzioni regionali.
Parti dell’opinione pubblica temono che, con un programma già in corso, le istituzioni europee possano avere buon giuoco nel forzare un loro approccio alla ristrutturazione del debito di cui la cittadinanza ne subirebbe naturalmente l’onere, ma nel contesto di una soluzione ancora una volta calata dall’alto.
D’altro canto, l’adesione dell’Italia al programma Mes potrà fornire un’eccellente opportunità per mostrare che i timori sopra menzionati siano stati sovra-enfatizzati o palesemente infondati e contribuire a riportare su un binario più fisiologico la relazione dell’Italia con le istituzioni che ha contribuito a fondare e finanziare.