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Russia, Turchia ed Emirati. La guerra in Libia che non è più libica. L’analisi di Dacrema (Ispi)

Sembra ormai palesarsi il piano superiore del conflitto libico. Quando si parla di Libia, da settimane, si fa riferimento a mercenari russi e siriani, ad attacchi aerei di droni turchi (o emiratini), a IED attorno a Tripoli del tutto simili a quelli trovati in Ucraina nel 2014, al trasferimento di caccia russi via Siria.

L’equilibrio di potenze si è spostato da tempo dal livello intra-libico (il conflitto civile tra il Governo di accordo nazionale di Tripoli e la milizia Lna di Khalifa Haftar), ed è ormai mainstream che sia diventato una questione tra forze esterne. Turchia e Qatar sul lato tripolino, Emirati Arabi, Egitto e Russia dietro al miliziano ribelle dell’Est.

Con alcune fluidità interne. Per esempio, è notizia di questi giorni che la Russia abbia deciso di ritirare parte dei mercenari della società privata Wagner dal fronte haftariano a sud di Tripoli, in un probabile accordo con la Turchia. Tutto mentre, sempre in questi giorni, Mosca ha deciso di trasferire dalla Siria alcuni caccia d’epoca sovietica nella base haftariana di al Jufra – attività tracciata e denunciata con tanto di pubblicazione delle foto dall’intelligence militare americana.

“In questa semi-ritirata c’è da valutare un livello personale, che con Vladimir Putin va sempre tenuto in considerazione”, spiega a Formiche.net Eugenio Dacrema, co-head del Mean Center dell’Ispi. “È un passaggio umiliante per Haftar – continua – e potrebbe essere letto come una vendetta per quanto accaduto a gennaio, quando Mosca aveva organizzato una forma di negoziato insieme alla Turchia a cui il miliziano ha dato buca. Ma allo stesso tempo, l’invio di caccia ad al Jufra conferma che la Russia ha intenzione di non perdere contatto e potere nella Cirenaica”.

Russia e Turchia hanno creato in Siria un contesto negoziale che ha come scopo l’impasse continua, messa a sistema in un tavolo di trattative che resta in piedi e non viene mai chiuso – o almeno non nel breve periodo. In Siria, come in Libia, condividono sfere di intervento. Sono su fronti opposti, ma mantengono contatti costanti. Per esempio, mentre i contractor russi rientravano dal fronte verso Bani Walid più a sud e poi ad al Jufra, più a est, i droni turchi – protagonisti di una controffensiva possente del Gna – non hanno colpito. Lo stesso è successo a sud di Tarhouna, spazio da cui hanno permesso una ritirata tattica ai nemici.

“Ora – spiega Dacrema – il rapporto tra russi e turchi sta lentamente virando in favore dei secondi perché nel post-Covid la Russia potrebbe essere severamente colpita. Un’economia come quella di Mosca, legata alle materie energetiche, rischia di subire clamorosamente il peso della fase di maturazione del petrolio. I grandi tagli per risollevare il prezzo, nei giacimenti profondi siberiani hanno creato un problema tecnico da cui non sappiamo come ripartiranno. La Turchia invece è un’economia che, sebbene sia messa altrettanto male, è molto più industriale e giovane, molto più aperta al mondo, e non si basa sul commercio degli idrocarburi”.

In questa proiezione del dopodomani, ossia della fase successiva del recupero post-pandemico, che tiene conto di ragionamenti sugli equilibri futuri, non possiamo, intersecando la Libia, dimenticare il ruolo degli Emirati Arabi, attore che sul terreno ha un impegno di primo piano nel conflitto libico, e che sta cercando di aprirsi nuovi spazi anche in Siria.

“Abu Dhabi è lo sponsor massimalista dietro Haftar, e da un certo punto di vista è una forza schierata con la stessa base mentale della Russia: ossia lotta all’islamismo, mantenimento dello status quo autoritario, interessi economici e geopolitici diretti (sul Mediterraneo, ndr)”, spiega Dacrema.

Mosca, però, ha dimostrato più pragmatismo: “Gli emiratini sono meno disposti a cedere terreno. Ad esempio in Siria non avrebbero mai lasciato il nord alla Turchia, come invece fatto dalla Russia. Secondo alcuni rumors Abu Dhabi sta cercando spazi nella crisi siriana per ridurre in parte l’influenza russa, in Libia succede l’opposto. I russi stanno cercando di recuperare rapidamente terreno in Cirenaica a detrimento degli Emirati”.

La fine della plausible deniability attraverso lo schieramento del piccolo contingente aereo a Jufra permette alla Russia di materializzarsi come attore fisico, non tanto dietro Haftar (come sottolineato dal ricercatore italiano), ma in Cirenaica. Realtà territoriale che va ben oltre Haftar. Si potrebbe creare per Mosca uno spazio politico da cui manovrare il gioco e scavalcare in parte gli emiratini anche tramite i contatti pragmatici con la Turchia sul lato opposto. Oggi il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha comunicato ad Haftar che la via militare non è cavalcabile, serve un governo di unità nazionale.

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