Una fonte statunitense, corroborata da un’altea interna al Governo di accordo nazionale libico, Gna, parlando entrambe in condizioni di anonimato, rivelano a Formiche.net che in questi giorni Tripoli è in costante rapporto con Washington: “C’è un collegamento continuo, e viene portato avanti dal vicepremier Ahmed Maiteeg e Robert O’Brien“.
Robert O’Brien è il consigliere per la Sicurezza nazionale di Donald Trump, e dunque il contatto col Gna è portato avanti direttamente della Casa Bianca – anche se il presidente ha dimostrato di non essere sempre sulla linea dei suoi collaboratori. La questione è degna di nota perché un anno fa di questi tempi al centro del dibattito attorno alla Libia c’era un contatto che un vecchio consigliere per la sicurezza, John Bolton, falco radicale dalle visioni molto spinte su diversi dossier, aveva facilitato.
Bolton aveva fatto in modo che Trump chiamasse Khalifa Haftar, il signore della guerra dell’Est che sta assediando Tripoli dal 4 aprile 2019, e che gli mostrasse riconoscimento nella lotta al terrorismo – concetto vago, ma quello sperato da Haftar, che nella sua visione militarista ritiene tutti i nemici terroristici, retorica utile anche per la propaganda e per ripulirsi l’immagine all’esterno.
Dopo che la Casa Bianca aveva reso pubblico quella telefonata, con una certa semplificazione gli Stati Uniti venivano considerati allineati con il nemico del Gna, insieme a Emirati Arabi ed Egitto (e sembrava che Trump si fosse deciso a fare quella telefonata ad Haftar dopo aver incontrato Abdel Fattah al Sisi). In realtà all’interno degli apparati americani, soprattutto al Pentagono e al dipartimento di Stato c’è sempre stato un posizionamento più sul lato tripolino della partita – sebbene sempre con il dovuto distacco e disinteresse.
A distanza di un anno, mentre il fronte haftariano non è mai avanzato, attorno al capo miliziano dell’Est le cose sono cambiate. Haftar ha perso molto terreno perché la Turchia è intervenuta a sostegno di Tripoli e del Gna, e contemporaneamente – sfruttando spazi politici e geopolitici lasciati dalla pandemia – Ankara si è notevolmente riavvicinata a Washington, avviando grazie agli americani la ricostruzione dei rapporti con Israele (elemento centrale per un dossier sovrapposto al libico, quello del Mediterraneo orientale).
Contemporaneamente l’Egitto s’è defilato: il Cairo ora potrebbe tornare forte nella partita ma sfruttando la necessità di fermare le armi e portare il proprio uomo verso una via negoziale. Gli Emirati, player massimilista dietro Haftar, seguono una propria agenda mentre si sta affievolendo la condivisione di intenti e di traiettorie con quella americana.
Soprattutto è successo che – maggiormente in queste ultime settimane – dietro ad Haftar s’è palesata la Russia. Mosca ha cercato di sfruttare quanto possibile la partita e si è messa in pista direttamente anche attraverso lo schieramento di unità militari non regolari a rinfoltire le deboli linee offensive haftariane, e mandando nella base di al Jufra dei caccia.
Gli Stati Uniti non tollerano questa presenza: probabilmente non è il momento per aumentare l’ingaggio e il coinvolgimento in Libia (vedere alla voce Covid e presidenziali: problematiche interne non da poco per l’amministrazione), ma un ruolo della Russia in Cirenaica – che si sta consolidando anche attraverso a quella minima presenza aerea ad al Jufra – non è contemplato nel quadro di stabilizzazione, gestione e controllo da remoto del Mediterraneo immaginato dagli Usa.
Tant’è che la retorica è cresciuta notevolmente negli ultimi giorni, e anche oggi il comando AfriCom del Pentagono ha esposto pubblicamente il trasferimento dei jet russi, via Siria, in Libia.
MORE: Over multiple days in May, Russian MiG 29s and SU-24 fighters departed Russia. At that time, all the aircraft have Russian Federation Air Force markings. After they land at Khmeimin Air Base in Syria, the MiG 29s are repainted and emerge with no national markings. (1/2) pic.twitter.com/ghgpKe9rDo
— US AFRICOM (@USAfricaCommand) May 27, 2020
La scorsa settimana il segretario di Stato, Mike Pompeo, aveva mostrato il proprio sostegno a Fayez Serraj, capo del Consiglio presidenziale di Tripoli e premier del Gna. Mentre nei giorni successivi dall’ambasciata americane in Libia – che opera da Tunisi per ragioni di sicurezza – era stata diffusa una dichiarazione molto dura nei confronti delle “forze che cercano di imporre un nuovo ordine politico con mezzi militari o terrorismo” in Libia: “Gli Stati Uniti – continuava lo statement – sono orgogliosi di collaborare con il governo legittimo e riconosciuto dalle Nazioni Unite della Libia, il Gna”.
Non è chiaro al momento quanto questo cambio di passo sia definitivo o momentaneamente – qualcosa di simile si era già visto a novembre scorso quando la stampa mainstream aveva pubblicato informazioni sulla presenza in Libia di quei contractor militari, che erano nel paese da almeno un paio d’anni ma finora avevano mantenuto un ruolo più discreto. Che il contatto sia gestito direttamente da Maiteeg, che con gli Usa ha relazioni profonde, è un indizio? Il vicepremier è considerato un moderato, un nome più che spendibile per il futuro libico — più spendibile di altri elementi come il ministro degli Interni, Fathi Bashaga, considerato vicino alla Fratellanza musulmana, organizzazione non ben vista dall’amministrazione Usa.
(Foto: Twitter, @MaiteegAhmed, il vicepremier libico e l’ambasciatore americano Norland)