Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Il M5S, la tregua di Giorgetti e la scalata di Conte al Quirinale. Parla il prof. Campi

Giuseppe Conte? Non ha un suo partito, ma può contare su un asse istituzionale trasversale che, spera, può diventare un trampolino per il Quirinale. Il Movimento Cinque Stelle? Ormai è vittima della balcanizzazione interna. Centrodestra? Ostaggio delle contraddizioni che continuano a dividerlo in Ue. Alessandro Campi, politologo, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia, non usa giri di parole. In un’intervista con Formiche.net il professore, in libreria con Dopo. Come la pandemia può cambiare la politica, l’economia, la comunicazione e le relazioni internazionali (Rubbettino)”, spiega perché, piaccia o no, l’ipotesi di una “tregua istituzionale” avanzata da Giancarlo Giorgetti, oggi, è semplicemente l’unica possibile.

Professore, in un’intervista al Wall Street Journal Giorgetti è tornato a parlare di tregua istituzionale, di responsabilità, di Europa. Sembra distante anni luce da Matteo Salvini. Come possono convivere queste due anime del Carroccio?

In verità le anime che convivono nella Lega sono – da sempre, non da oggi – tre: quella propagandistico-ideologica, quella più istituzionale o di Palazzo e quella interessata sopra ogni altra cosa al buon governo del territorio. Ieri Bossi, Maroni e i sindaci che amministravamo le città del Nord. Oggi Salvini, Giorgetti e la rete dei governatori del centro-Nord. Mi sembra un gioco di quadra molto efficace, una divisione dei compiti funzionale. Salvini parla al popolo attraverso i social, spesso aizzandolo: incarna l’anima radical-movimentista. Giorgetti intesse rapporti e legami con gli apparati e i poteri forti (interni e internazionali): l’anima moderata, responsabile e dialogante. I governatori coltivano il consenso delle categorie sul territorio: l’anima pragmatica e di governo.

C’è chi può sfidare la leadership del “Capitano”?

La Lega mi sembra difficilmente scalabile come partito, vista la sua natura centralistico-leninista. E considerato che Salvini in quel mondo, dentro il partito e tra gli elettori, continua a godere di un vastissimo consenso, è pur sempre l’uomo che ha portato la Lega dal 4-5% al 27-28% (a prendere i dati odierni): comunque si tratta di un miracolo politico.

Neanche Zaia ha le carte per farlo?

Zaia ha un grosso problema, politicamente parlando: è un ‘venetista’ in senso ideologico, coltiva da sempre propositi apertamente indipendentisti e dunque il suo partito potenziale coincide coi confini della regione che attualmente governa, peraltro bene. Non mi sembra la credenziale giusta per porsi come il nuovo capo di un partito che ha cercato di riaccreditarsi, in parte riuscendovi, come forza ‘nazionale’. In questo mi sembra un erede tutt’altro che involontario della vecchia Liga di Franco Rocchetta, antesignano, per dirla ironicamente, del ‘Make Veneto Great Again”. Peraltro il Veneto, pur essendo uno storico bacino di voti leghisti, non ha mai espresso un leader nazionale all’interno del Carroccio, la cui guida è sempre stata saldamente in mani lombarde. Sono equilibri e precedenti storici che pesano.

Quindi non esiste il derby Zaia-Salvini…

In questo momento un gioco sin troppo scoperto, fatto dagli avversari della lega o da chi mai la voterebbe, per indebolire il secondo senza nemmeno aver grande stima del primo. È successo talmente tante volte nel recente passato, quando la stampa in senso lato di sinistra cercava nel centrodestra qualcuno da contrapporre a Berlusconi, che non capisco come oggi si possa prendere questo gioco sul serio. A tagliare la testa dal toro, aggiungo anche che nella Lega a sostegno di Zaia s’è pronunciato il solo Maroni, cioè l’avversario interno storico di Salvini: basterebbe questo elemento politico a chiudere la discussione.

Giorgetti sembra allontanare una volta per tutte lo spettro delle elezioni. È realismo?

La definirei una posizione che nasce dalla rassegnazione, dal fatto cioè di doversi arrendere all’evidenza delle cose. Quali elezioni si potrebbero svolgere da qui alla primavera (se va bene) del 2021? Da settembre-ottobre, sperando che l’onda pandemia sia finita o non si ripresenti, saremo nel pieno della crisi economica. Ci sarà da gestire la recessione e la rabbia degli italiani: non mi sembra la condizione politico-sociale migliore, senza considerare quelle sanitarie, per mettersi a fare una campagna elettorale.

Al governo la convivenza col M5S sembra iniziare a stare stretta al Pd. Ha l’impressione che i dem sotto sotto vogliano il voto?

I dem vogliono stare al governo più di quanto vogliano andare al voto, con i rischi che la cosa comporta. E ripetendo quel che ho appena detto: che al voto a breve, secondo me, non si può andare per ragioni, per così, ambientali. Detto questo, c’è certamente insofferenza nel Pd, anche perché si è capito che a braccetto col M5S si può fare davvero poco, se non un po’ di politiche redistributive in senso assistenziale: che sono la specialità dei grillini e che, per ragioni anche ideologiche, non dispiacciono del tutto alla sinistra. Ma questo davvero ha poco a che fare con qualunque disegno o progetto di stampo riformista, di quelli che il Pd coltiva a parola: è governo provvisorio del consenso attraverso lo strumento di un debito pubblico crescente.

Quindi?

Consapevoli che con il M5S non si governa, al massimo si gestisce l’ordinaria amministrazione, non è un caso che i vertici del Pd abbiamo eletto Conte a loro interlocutore privilegiato, intercettando l’interesse di quest’ultimo a emanciparsi dai grillini e a divenire a sua volta l’interlocutore diretto del Pd. Ma c’è il piccolo problema che in Parlamento i grillini siano ancora larga maggioranza. E questo significa che al dunque Conte e il Pd, per quanto tra loro se la intendono, siano costretti a cedere continuamente ai diktat del loro azionista di riferimento.

La correntizzazione interna sta prendendo piede nel Movimento cinque stelle. Ha ancora uno spazio politico esclusivo da presidiare o è destinato a confluire altrove?

La balcanizzazione del M5S è in effetti il fattore che forse più di altri potrebbe mettere in crisi il governo in carica, che al momento fa registrare un curioso paradosso: all’inizio era tenuto in piedi dai voti del M5S, oggi che la crisi pandemica ha permesso a Conte di emanciparsi dal suo partito di riferimento è il governo che tiene in piedi il M5S, impedendo che all’interno di quest’ultimo si arrivi ad una sorta di resa dei conti, che prima o poi comunque avverrà. Le Assisi del Movimento convocate per il marzo di quest’anno, dopo le dimissioni a gennaio di Di Maio da capo politico, dovevano servire alla scelta di una nuova leadership unitaria. Ma è intervenuta la pandemia e la reggenza (assai scialba) di Vito Crimi è stata congelata. Ma non sono stati congelati i malumori interni, dovuti anche al fatto che il M5S abbia, con l’ultima informata del 2018, imbarcato al suo interno di tutto, gente d’ogni tendenza e opinione, spesso personale senza alcuna disciplina, anche se bisogna riconoscere ai grillini d’aver sviluppato un ‘senso del potere’ e delle poltrone degno della vecchia partitocrazia.

Di Maio ha ancora il dna del leader?

In questo quadro confuso e anarchico, in cui c’è da registrare il curioso passo indietro di Beppe Grillo, dubito che di Maio possa trovare la forza per riproporsi nuovamente come capo politico del Movimento. Bisognerà capire quali sono le intenzioni future di Conte, leader potenziale di un grillismo moderato e integrato nel sistema, come intende muoversi l’ala sinistra-movimentista guidata da Fico, o quella più populista e destra che ancora rimpiante il governo giallo-verde con la Lega. Peraltro certe reti di consenso si stanno slabbrando: penso alle divisioni interne al fronte giustizialista Bonafede messe in luce dallo scontro tra il ministro Bonafede e il magistrato Di Matteo. Lo scontro è stato momentaneamente congelato, ma la frattura ormai s’è consumata.

Questa maggioranza può sostituire Conte o è indissolubilmente legata alla sua figura?

Il consenso di Conte nel Paese è in questo momento forte: la strategia della paura che egli stesso ha alimentato come strategia comunicativa ha spinto gli italiani a stringersi ancora di più intorno a chi governa. Il problema è quel che potrebbe accadere dopo, finita un’emergenza che non a caso si cerca di reiterare all’infinito. Si potrebbe creare, a livello di opinione, una crisi di rigetto: ci si libera, anche sul piano emotivo, di chi ci ricorda un momento difficile e non felice. Detto questo, la mia impressione è Conte stia al momento coltivando diverse opzione, anche quella di farsi un partito (o, in alternativa, di cerca di scalare il M5S, tornando così, per così dire, alle origini).

Esiste un partito di Conte nel Paese o anche solo nei palazzi?

L’uomo venuto dal nulla ha in realtà sempre avuto una sua rete istituzionale molto solida: fatta di relazioni sociali che girano intorno al mondo cattolico-vaticano e di rapporti professionali che negli anni lo hanno introdotto nel giro dei ministeri, delle grandi commesse pubbliche, delle consulenze d’affari per grandi gruppi industriali. Senza contare i legami internazionali che ha stretto da quando è diventato presidente del Consiglio: far parte del club europeo è importante. Ma raccogliere milioni di voti a un’elezione, come l’esperienza insegna, è sempre un’altra cosa. Gente più accreditata di lui ha fallito (Monti ad esempio). La mia impressione è che le sue posture da statista di questi mesi abbia in realtà un obiettivo chiaro: vuole succedere a Mattarella al Quirinale.

Un po’ tutte le forze politiche fanno riferimento a un “governo di larghe intese”. Ci sono le condizioni per farlo e se sì come?

Sarà – se ci arriveremo – una formula imposta dalle circostanze, alla quale le forze politiche saranno costrette a cedere su invito diretto del Capo dello Stato. Se lo scenario che ho evocato, quello di una grave recessione autunnale, dovesse realizzarsi, rendendo necessarie misure assai drastiche, converrà a tutti mettere insieme le forze e far nascere un esecutivo di unità nazionale.

Il centrodestra si è di nuovo diviso in Ue. FI ha votato per il Recovery plan con M5S e Pd, Lega e FdI contro. Esiste ancora un centrodestra?

È l’ambiguità da cui Forza Italia non riesce ad uscire. Berlusconi non può e non vuole rompere con gli altri alleati del centrodestra, sino ad appoggiare apertamente il governo in carica, ma al tempo stesso ha assolutamente bisogno di mandare un segnale di vitalità a quel che resta del suo elettorato, operando quando può distinguo continui nei confronti dei sovranisti. Nello specifico direi che la posizione di Forza Italia è quella più ragionevole, come anche rispetto all’inutile battaglia contro il Mes che invece unisce grillini, FdI e Lega. Il problema è che non se ne ricava nessun strategia per il domani per un partito che senza Berlusconi semplicemente non esisterà più.

×

Iscriviti alla newsletter