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In Libia (a due passi da noi) si combatte. Per procura e con mercenari…

La nuova chiamata alle armi nel giorno simbolico dell’Ed al Fitr non ha funzionato, anzi ha prodotto ulteriori arretramenti, testimoniando ulteriormente che il signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, non ha presa nemmeno sui suoi uomini. Il fantomatico Esercito nazionale libico, Lna, nome ambizioso con cui ha cercato di camuffare la sua milizia da sempre, è ormai composto per lo più da mercenari stranieri, che siano ciadiani o sudanesi, oppure russi, difficilmente controllabili. Questi ultimi in particolare, appartenenti a una società di proprietà di un amico intimo di Vladimir PutinYevgeny Prigozhin, rispondono alle logiche del Cremlino, che in questo momento sembra dialogare con la Turchia — difensore del governo onusiano di Tripoli, Gna, e nemico contro cui Haftar ha chiesto venerdì scorso “una guerra santa” — piuttosto che con l’uomo (non/più) forte della Cirenaica.

Lunedì i droni d‘attacco prodotti dalla Baykar del genero del presidente Recep Tayyp Erdogan si sono fermati. La pausa nella martellante campagna, che ha fatto perdere molto terreno agli haftariani e messo in imbarazzo i sistemi di difesa russi della Konstruktorskoe Buro Priborostroeniya (i Pantsir che gli Emirati avevano messo a disposizione del loro uomo in Libia), sarebbe legata a un accordo temporaneo con Mosca. Il sindaco di Bani Walid, qualche centinaio di chilometri a sud-est di Tripoli, ha rivelato alla Bloomberg che dozzine di contractor della Wagner e alcuni mercenari siriani hanno usato la città come scalo intermedio dopo essersi ritirati dal fronte e prima di lasciare il Paese dall’aeroporto di Al Jufra. Là si trova la base usata dagli haftariani (leggasi “da tutti gli sponsor esterni di Haftar”) come punto di appoggio avanzato — è là che meno di una settimana fa sono arrivati caccia di epoca sovietica di cui la Russia ha diretto lo spostamento dalla Siria.

I turchi hanno fermato i raid per evitare incidenti durante lo spostamento lontano dal fronte degli uomini della Wagner, che segue tra l’altro uno schema già visto mesi fa, quando la Turchia iniziò il suo impegno diretto trovando subito una linea di deconflicting uno-a-uno con la Russia. Arriva di nuovo adesso in cui la pressione del Gna è più intensa che mai grazie ai rinforzi turchi, che secondo il tracciamento da fonti open source starebbero continuando ad arrivare. Chi scrive ha contato negli ultimi due giorni almeno tre voli partiti dalla Turchia alla Libia; aerei che potrebbero portare nuove forze (miliziani turcomanni come quelli già presenti?), e poi c’è stato sempre sulla stessa rotta un volo di una compagna keniota.

Prima di andare avanti, val la pena di ricordare che sulla Libia vige un embargo militare delle Nazioni Unite che recentemente l’Unione europea s’è impegnata a far rispettare attraverso una missione navale, “Irini” (che non sembra troppo rispettata). L’Onu in queste settimane è stato molto impegnato a diffondere i risultati di alcune analisi realizzate dagli esperti dell’organizzazione sulla presenza di armi e combattenti stranieri: elemento che sta portando alla deriva definitiva il conflitto libico. Dopo aver fatto sapere dettagli sui miliziani russi e sui trasferimenti di combattenti turcomanni dalla Siria operati dalla Turchia, in questi giorni ha reso noto i dettagli di un piano da film.

Una ventina di contractor occidentali — australiani, inglesi e un americano — e sudafricani erano stati inviati in Libia la scorsa estate da compagnie militari private. Dovevano evitare che la Turchia inviasse in Libia rifornimenti armati al Gna (per certi versi avevano il compito di preservare l’embargo). Il loro compito era sostenere Haftar, per farlo avevano a disposizione anche sei elicotteri portati dal Sud Africa al Botswana via terra e da lì in Libia tramite la compagnia ucraina SkyAviaTrans (già in passato indicata dall’Onu come una di quelle che fornisce i propri servizi a chi vuol portare armi in Libia: il motto aziendale è “Anything, Anytime, Anywhere, Professionally“, lo stesso della Air Americana che la Cia usava in Vietnam ai tempi della guerra).

I contractor però sono rimasti meno di una settimana a Bengasi perché hanno subito litigato con Haftar — più volte negli anni il carattere del signore della guerra è stato indicato come problematico, per esempio è noto che anche i russi hanno difficoltà a gestirlo. Haftar contestava la qualità degli elicotteri arrivati, e i mercenari hanno preso, fatto le valigie e attraversato il mare su barchini veloci in direzione Malta. Dietro al piano di assistenza svelato dall’Onu — e probabilmente finanziato dagli emiratini — ci sarebbero due personaggi storici del mondo della guerra privata: Christian Durrant, ex pilota di jet australiano e ora businessman militare, ed Erik Prince, americano e leader globale della guerra a pagamento (nonché fratello della segretaria all’Istruzione dell’amministrazione Trump). Entrambi negano coinvolgimenti.

Oltre l’aspetto commerciale, comunque, la guerra in Libia si porta dietro interessanti evoluzioni politiche. L’impegno turco riceve apprezzamenti dal quadro Nato (sebbene non troppo espliciti, anche per via della violazione dell’embargo Onu); il coinvolgimento russo si porta dietro un rinnovato interesse statunitense. Ne consegue un allineamento evidente Washington-Ankara, dove gli americani svolgono anche un ruolo di catalizzatore importante con Israele. Turchia e stato ebraico sono stati ai ferri corti, di nuovo, ma ultimamente — grazie anche agli spazi neutri aperti dalla pandemia — stanno lentamente riprendendo le relazioni. Contatti molto importanti per il quadro geopolitico nel Mediterraneo orientale, dossier da tempo sovrapposto a quello libico.

 

 

 

 



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