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Evadere con WhatsApp. L’idea di Silvia Ferrara

Di Silvia Ferrara

Visitare la cripta dei cappuccini a Roma non è un viaggio macabro, come diceva lo scrittore inglese Hawthorne. Né è un monito alla nostra mortalità, la foglia sospesa, in balìa delle stagioni, che ognuno di noi nel suo (non troppo) intimo sa di rappresentare. Sarebbe troppo facile. Invece, alla mortalità i cappuccini hanno deciso di dare un bel pugno allo stomaco: nella cripta, la morte è brandita come la spada della “Principessa Barberini”, appesa al soffitto a sfidare la gravità come il punto fisso del pendolo di Foucault. Le rosette, fatte di scapole e vertebre, non sono inquietanti perché evocano il memento mori, ma perché sono una sfida a rimanere. Stanno lì e non c’è morte che tenga. Dicono: ecco, Io, alla morte, regalo fiorellini di ossa.

PERCHÉ È IMPORTANTE   

La domanda che questo desta è tra le più semplici del mondo: che cosa rimane, mentre il tempo, cronofago impietoso, fa polvere di tutto? E non intendo quel che resta per sbaglio, per accidente del caso, per fortuita coincidenza non intaccata dagli dei invidiosi. Intendo quello che decide di rimanere. Decide. Noi indolenti e immersi nei messaggi vocali su WhatsApp oggi e in telefonate da cent’anni, di tutte queste parole al vento, intensificate in questi giorni di gabbia, dei toni, delle voci, degli squittii della nostra prosodica vita, che cosa decidiamo di lasciare, consapevoli che finiremo come i padri cappuccini, ossa rotte e lacerti di saio?

LA STORIA DEGLI ANOA

Andiamo indietro, a 44mila anni fa. Siamo su un’isola dell’oceano indiano, in una grotta in cui bastano quattro metri e mezzo di parete per creare una storia, la più antica mai trovata. La sua scoperta è recente.

In questa storia ci sono animali strani, anoa o bufali nani, ancora endemici nell’isola dopo tutto questo tempo, che si muovono, pesanti, in mezzo a esseri semi-umani, uno con coda, un altro con testa di uccello, che li cacciano senza tanta pietà. Gli anoa la fanno da padrone, però, rubano la scena, sono grandi per essere nani, almeno rispetto alle figure teriantropiche (da uomini-bestia), e sono rossi, sgargianti, vivi. Creano una storia improbabile.

L’OSSESSIONE UMANA

Gli esseri umani adorano inventare, lo fanno da quando hanno imparato a pensare. Dopo migliaia di anni, l’unica ossessione vera dell’essere umano è evadere, farsi prendere e ossessionare dalle storie. Da qualunque storia. A pensarci, le storie sono l’unica cosa che ci rimane impressa. Aneddoti, barzellette, battute, miti, bugie, racconti, romanzi, intrecci, intrighi, pettegolezzi. Film, serie tv, amore, inseguimento, mistero, paura, desiderio.

Evadiamo.

LA SCRITTURA RIMANE

Ma poi c’è la nostra vita, che non è un film, che non è una barzelletta, che non è una telefonata. La nostra vita, così fatta com’è di voce, non ha peso. Il peso sta in quello che sto facendo io ora. Gli scambi di parole che ricorderete più a lungo – forse finché non sarete teschi – sono quelli che scrivete, i WhatsApp che mandate a chi amate. Non quello che lasciate uscire dalla bocca, ma quello che scrivete.

È vero: non si può sempre decidere che cosa si lascia al futuro, né prevedere quel che rimarrà, o immaginare i nostri racconti parietali di qui a quasi 50 mila anni. L’unica cosa vera, però, è che – oggi più che mai – non si può incorniciare una telefonata.



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