Da oggi inizia un negoziato difficile per portare a casa il risultato sul quale in molti, in tutti i paesi UE, stanno già facendo i conti; naturalmente in un’ottica nazionale, ossia quella che garantisce a ciascun governo un ritorno elettorale sul verdetto finale relativo al bilancio europeo. Ma oggi ci sia consentito di allinearci a quanti, in questo paese, ringraziano la UE.
Non tanto per i 173 miliardi di euro in 4 anni (di cui 82 in trasferimenti e 91 in prestiti a tasso-quasi-zero) che la Commissione ha proposto di erogare all’Italia in 4 anni sull’ipotesi dei 750 miliardi del Next Generation Fund.
Ma per il senso di solidarietà che ha ispirato questa proposta. Per il fatto che è stato riconosciuto il principio che in una collettività sovranazionale, quando uno shock colpisce un paese più di un altro, è tecnicamente corretto ed eticamente giusto che quel paese sia il destinatario delle maggiori risorse. Un principio che non ha avuto precedenti nella storia europea. E che ci avvicinerebbe più ad uno Stato federale che ad una confederazione di Stati indipendenti.
Ringraziamo anche perché l’Europa ha a cuore la “prossima generazione”, altrimenti condannata senza quelle risorse a minori opportunità delle precedenti o il cui destino sarebbe lasciato alla capacità d’intervento dei singoli Stati nazionali, con buona pace per la comunità dei cittadini Europei nel loro complesso.
Ma soprattutto è il momento di ringraziare per il tipo di condizioni che la UE si appresta a porre sull’erogazione di quelle risorse. Condizioni molto semplici, riassunte magistralmente nelle Policy Recommendations (le raccomandazioni sulle scelte pubbliche) che il Consiglio invia agli Stati come suggerimento per orientare le politiche pubbliche a favore della crescita, e che vengono regolarmente e bellamente ignorate. Raccomandazioni che, lo avevamo già sottolineato in passato, dovremmo letteralmente e semplicemente “tagliare ed incollare” nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria e in tutta la normativa d’indirizzo strategico del paese. Senza cambiarne neanche una virgola, tanto è il buon senso che le ispira.
E che vale forse la pena ricordare sommariamente: potenziare le misure per l’occupabilità, innalzare la produttività del settore pubblico, migliorare la spesa dei fondi strutturali, semplificare il sistema impositivo e regolamentare, alleggerire il carico fiscale sul lavoro, evitare di aggravare ulteriormente un sistema pensionistico già oberato da indennità abusive e pesanti dinamiche demografiche con ulteriori incentivi al prepensionamento, ridurre le disparità regionali, accrescere la spesa per educazione/ricerca/innovazione, migliorare il sistema infrastrutturale e delle competenze digitali, etc, etc, etc… Fattori ai quali dovranno adesso essere aggiunti quelli legati al Green Deal ed alla sostenibilità (sociale, ambientale, energetica, finanziaria) dello sviluppo. Tutte indicazioni, come credo sia evidente a tutti, che dovrebbero essere scontate, ma che in Italia sembrano ancora oggi dei miraggi irrealizzabili.
I nodi aperti di questa ripresa guidata dai fondi europei, che può trasformare i drammatici rischi connessi alla pandemia in un’opportunità di cambiamento strutturale del paese, sono due.
Il primo è che si apre, adesso (in realtà si è già aperto da parecchie settimane), un negoziato difficile, reso ancora più complicato dall’adozione delle decisioni all’unanimità in seno alla UE. Che porterà inevitabilmente a pressioni, compensazioni (pecuniarie e non), recriminazioni. In sostanza a strascichi che non faranno bene al sentimento di comune appartenenza ad un’unica comunità di destino in Europa. Negoziati che il prossimo Consiglio Europeo di metà giugno potrebbe non riuscire a chiudere; e che potrebbero dover attendere l’insediamento del semestre di Presidenza tedesca per far emergere una linea che salvaguardi al massimo i risultati presentati ieri dalla Commissione. Un negoziato che verterà non solo sull’ammontare e la composizione (trasferimenti e prestiti) delle risorse che verranno effettivamente destinate al Next Generation Fund; ma anche sulle modalità di finanziamento, sulle risorse proprie (quali e con quali procedure adottarle), sulle soluzioni ponte da adottare prima dell’entrata in vigore del nuovo bilancio pluriennale il prossimo anno.
Il secondo è il nodo politico interno. Perché, lo abbiamo già sottolineato, quei soldi rischiano di essere risorse sprecate se non indirizzate e gestite con un occhio (meglio se entrambi) al futuro del paese. Perché il governo sarà chiamato a mettere in campo una riforma fiscale coerente con le indicazioni fornite dalla UE, una lotta spietata all’evasione fiscale (che minerebbe l’efficacia e la giustizia distributiva di qualsiasi riforma fiscale), a rispettare gl’impegni chiesti dalla UE e indicati più sopra. Il tutto, nel quadro di oggettive debolezze intrinseche alla maggioranza; tanto che vengono i brividi a pensare al concreto rischio di sprecare un’occasione di ammodernamento del paese in litigi fittizi e recriminazioni strumentali alla meschina gestione di piccole fette di potere.
Ma intanto, oggi, pur con le preoccupazioni legate al modo in cui questi due nodi verranno sciolti, fermiamoci per un istante a ringraziare l’Europa.