Uscire dal lockdown distanziandosi da Pechino. Passa da un netto cambio di strategia dei due presidenti, quello americano e quello francese, l’asse Parigi-Washington per ridisegnare gli equilibri geoeconomici post coronavirus: dall’elogio della Cina nella gestione sanitaria della crisi, Donald Trump è arrivato a incolpare Pechino per la diffusione del Covid-19 – prendendo perfino in considerazione l’ipotesi di “processare” il regime – ed Emmanuel Macron è stato il primo in Europa a gettare ombre sul Dragone e sui suoi laboratori segreti in diretta tv.
Trump e Macron si erano già dimostrati “compatibili” su parecchi dossier al G7 di Biarritz. Dopo le scintille sulla Nato, tornano dunque su una lunghezza d’onda analoga. Non proprio identica, ma utile a entrambi per superare le avversità legate al virus.
La chiave è quella anti-cinese: respingere l’offensiva diplomatica di Pechino, sbarrare la porta alla propaganda, seminare dubbi sul regime e “silenziare” in patria gli uomini che sanno – o dovrebbero sapere – cosa c’è dietro i portoni di Wuhan: cioè molta Francia e un po’ di America.
L’uomo che negli Usa diceva che il rischio d’infezione negli States era “molto basso” e che New York non poteva attuare un lockdown “come Wuhan”, cioè Anthony Fauci, in questi giorni si sta scontrando con le minacce di Trump.
Non è un caso. C’è di mezzo il passato, che probabilmente verrà fuori nonostante il presidente americano stia facendo il possibile per farlo tacere. Fauci sa infatti molte cose sul laboratorio P4 di Wuhan e ciò che sa si ripercuoterebbe sulla strategia di The Donald: domare il Dragone a colpi di ultimatum commerciali (quasi 60 i miliardi di dollari di dazi stimati da marzo 2018). E soprattutto di accuse.
Trump chiude a chiave gli armadi di casa da cui potrebbe uscire qualche scheletro. Manda avanti Mike Pompeo con “prove enormi” contro la Cina. E in Francia chi sa – o dovrebbe sapere – tace su quella che l’ex premier Bernard Cazeneuve aveva ribattezzato “la piccola Francia”, e cioè Wuhan; il solo francese che abbia visto dal vivo quel laboratorio pare sia il professor René Courcol.
Macron ha detto che in Cina sono successe cose che non sappiamo. Vero. Ma quelle che si sanno non le dice. Come Trump. Cioè che la Francia ha contribuito a costruire quel laboratorio prima di essere messa alla porta.
L’asse Parigi-Washington poggia pure sui sondaggi. Il Pew Research Centre sostiene, per esempio, che il 66% degli statunitensi abbiano una percezione negativa della Cina. Un numero mai così alto dal 2005. Dati simili anche in Francia dopo il discorso di Macron sulla pandemia: “Non sappiamo tutta la verità”, ha detto alla nazione, col forte sottinteso sull’opacità cinese nel gestire le informazioni.
Pechino d’altronde guida quattro delle 14 agenzie delle Nazioni Unite (l’America una) e conta su un “amico” all’Oms, quel Ghebreyesus fortemente appoggiato dal regime comunista. La strategia di Trump e Macron potrebbe far loro recuperare terreno in un prossimo futuro. I toni sono certamente diversi. La pedalata in tandem è molto discreta. Utile apparentemente a superare le avversità (anche politiche) legate al virus e al lockdown in patria.
Se gli Stati Uniti vogliono centinaia di miliardi di dollari da Pechino come riparazione ai danni causati dalla diffusione del virus, Parigi si profila però come una poliedrica sponda europea. L’Italia, unico Paese del G7 ad aver aderito alla nuova Via della Seta, sta a guardare. E l’intesa italo-americana che per un giorno a Biarritz fece grande Conte, anzi “Giuseppi”, sembra evaporata come un raviolo.