Un’immagine ricorrente, in questa crisi sanitaria, è quella della barca, dello “stare sulla stessa barca”, come ha ricordato spesso papa Francesco. È una metafora tutt’altro che poetica: richiama un luogo angusto, una convivenza non sempre facile, una traversata da compiere, venti, paure, speranze affievolite e una pesca da realizzare.
La barca di Pietro, ora affidata a papa Francesco, ha in parte le stesse difficoltà della barca umana. Esprimo qui riflessioni strettamente personali. Come in ogni istituzione c’è chi rema a favore e chi rema contro, specie quando sono in gioco aspetti di riforma che toccano nodi fondamentali: il modo di concepire il potere, alcuni scandali (in primis pedofilia), la correttezza amministrativa e la lotta alla corruzione, il rapporto con gli altri cristiani e i credenti di altre religioni, tanto per citare i maggiori. Qui mi riferisco alla Chiesa cattolica italiana, anche se il remare contro Francesco si riscontra anche in diverse Chiese sparse per il mondo.
A remare contro sono cardinali, vescovi, fedeli laici, spesso quelli più impegnati in associazioni e movimenti. Alcuni di essi lo fanno apertamente, altri in maniera occulta e ambigua. Nella crisi sanitaria imperante, la questione della ripresa delle celebrazioni eucaristiche è stata – e ancora è – una cartina tornasole emblematica.
Prima di tutto la “questione messe” ha monopolizzato il dibattito, non certo per colpa dell’informazione, concentrando l’attenzione sui riti, importanti sì ma non essenziali, visto che la nostra fede “viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Rm 10,17). Diverse popolazioni nel mondo celebrano l’Eucaristia una volta al mese o all’anno. Non hanno perso la fede, anzi! La ritualizzazione eccessiva si è vista anche in ciò che è stato trasmesso in streaming e Tv: per lo più messe e rosari o processioni (non autorizzate). Perché, in genere, sono mancati incontri sulla Parola di Dio, per aiutare a comprendere il momento storico alla luce della Parola?
La celebrazione quotidiana del papa è stata invece impostata molto diversamente: una preghiera centrale per ricordare persone e gruppi coinvolti in prima linea nella crisi e una breve omelia per spiegarci cosa il Signore ci insegna “oggi”. A seguirla – fatto non di poco conto – anche diversi non credenti: testimonianza di una fede cristiana che non esclude, ma include, fino alla proposta di una preghiera e digiuno per tutte le donne e gli uomini di tutte le fedi.
Ormai è sempre più chiaro che la barca di Pietro ha una direzione ben precisa: vivere un modello di Chiesa conciliare che non esaurisce il suo essere nel rito, ma – insieme alle celebrazioni – promuove la sinodalità e la formazione non clericale del laicato, accoglie tutti, soccorre i deboli, denuncia le ingiustizie e la corruzione, cerca di umanizzare l’economia, collabora a creare un mondo migliore, specie nella promozione degli ultimi e nel rispetto dell’ambiente.
Perché i pastori cattolici italiani, specie in questo periodo, si sono chiusi in un assordante silenzio (tranne pochissime eccezioni) su questi temi, che il papa ogni mattina ricordava? La risposta ormai non può essere più taciuta: si ispirano a un modello di Chiesa diverso dai lidi dove Francesco guida la barca.
È molto difficile quantificare il fenomeno: coloro che remano contro sono la maggioranza oppure no? Tuttavia è evidente che essi formano un gruppo consistente, potente mediaticamente e molto presente nel dibattito ecclesiale. Infatti dispongono di molte risorse economiche; inondano i mezzi di comunicazione, specie i social, di ogni tipo di offese personali, falsità (fake news), pseudo motivazioni teologiche; hanno potenti alleati politici, specie nell’area populista e conservatrice. Ovviamente si dichiarano tutti fedeli al papa… purché non sia l’attuale!
Sono molto affascinato dal fatto che coloro che remano “contro”, hanno spesso due caratteristiche condivise: 1. essi, con altri papi, si consideravano fedelissimi al sommo pontefice e ora sembrano aver smarrito le tanto esaltate fedeltà e obbedienza; 2. lo schema dei loro ragionamenti risente molto delle prassi dei regimi ideologici: la dottrina-tradizione non si tocca, chi la tocca è un eretico, su di esse non si possono fare domande, né tanto meno ricerca filosofica e teologica, il compito dei pastori e maestri è solo quello di ripeterla e affermarla sempre e comunque. Tuttavia i loro elementi dottrinali sono estremamente deboli e facilmente smontabili e si esauriscono in un’accusa a papa Francesco per presunti deficit dottrinali. Sono convinto che questa accusa di eresia nasconda, molte volte, il rifiuto di riflettere su quanto papa Francesco dice in materia di potere malsano e corruzione, presenti anche nella Chiesa cattolica.
Succede nella comunità cristiana quello che accade spesso in tutte le istituzioni quando si toccano alcuni punti critici o deleteri, come la corruzione, gli abusi, il rinnegamento delle finalità fondamentali e cosi via. Soprattutto coloro che hanno responsabilità – siano essi cardinali, vescovi, presbiteri, religiose/i o fedeli laici – più che cambiare radicalmente, si sottopongono a quel processo per cui, secondo Jung, enfatizzano i propri pregi e negano, ponendoli in una zona d’ombra, i propri lati oscuri e problematici, quelli che compromettono l’identità di persona integra ed eticamente sana.
Le “ombre”, in questione, sono quelle classiche, denunciate da tutti i profeti, di ogni religione e cultura, le si chiami “malattie” o in altro modo, ovvero: narcisismo, superbia, avarizia, invidia, rabbia, avidità, disordini sessuali, arroganza, vendicatività, ambizioni sfrenate, demagogia, corruzione, mafiosità, populismo, falsità, vanagloria, violenza, aggressività, cinismo, ipocrisia, ambiguità, cioè gli aspetti più deleteri che un uomo o una donna possano avere. Orbene si comprende la forza e spesso la violenza della reazione al papa che mette il dito nella piaga di questi mali, proprio perché queste persone hanno poco interesse a riconoscere le proprie zona d’ombra e a rinnovarsi in fedeltà e giustizia.
Tra qualche giorno si riprendono le celebrazioni eucaristiche. La base ecclesiale ha fatto sentire la sua voce con appelli, raccolte firme, lettere. Il tutto è servito a ben poco: la decisione è stata presa in termini verticistici; i parroci – quasi per niente ascoltati – si ritrovano a gestire il peso pratico della decisione. Perché tanta fretta? Paura di perdere fedeli? Problemi economici? Di visibilità? Di dimostrazione di un peso politico nel dibattito pubblico? Risposte veramente difficili perché coinvolgono non solo il modello di Chiesa in cui si crede, ma anche quello che si è umanamente e cristianamente, davanti a Dio come davanti a Cesare.
Chi si illude che tutto possa ritornare come prima, solo perché si potrà celebrare messa (con tutte le doverose restrizioni) si illude. La crisi sanitaria non chiede solo di rivedere parametri sociali, politici, culturali ed economici; chiede anche di rivedere i nostri parametri ecclesiali, che spesso, invece, di guardare avanti, come fa il papa, sono nostalgicamente legati a un passato che è… semplicemente passato.
La proposta lanciata da papa Francesco di indire un sinodo della Chiesa italiana sembra essere quanto mai urgente: è innegabile che abbiamo bisogno di riflettere tutti insieme sulla nostra testimonianza di fede nel mondo, soprattutto dopo questa crisi mondiale. Non basta essere contro aborto, eutanasia e altri temi di etica personale; accanto a questi deve essere della stessa forza il no a razzismo, xenofobia, corruzione, mafie, guerre e traffico di armi, egoismi nazionali e discriminazioni, ricerca scientifica schiava dei potentati economici. Scriveva Georges Bernanos nel 1944, in Lettre aux Anglais: “Verrà il momento in cui Dio metterà la sua Chiesa contro il muro, dopo aver accuratamente bloccato ogni uscita, a destra, a sinistra, all’indietro, ed essa dovrà premere sull’ostacolo con tutto il suo peso, con tutto l’eroismo dei suoi santi, e con tutta l’inerzia accumulata dai mediocri”. È questo il momento?