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Ancora veleni tra Praga e Mosca sulla statua di Konev

“Accuse prive di fondamento”, così il direttore del Centro russo di cultura, Eleonora Mitrofanova, definisce con Ria Novosti le informazioni fatte uscire dalla stampa ceca a proposito di un piano per avvelenare il sindaco di Praga, Zdenek Hrib, e il presidente del municipio di Praga 6, Ondrej Kolar.

I due sono stati messi sotto protezione da un paio di settimane dopo l’infiammarsi della bagarre diplomatica legata alla decisione di Kolar di rimuovere da una piazza della sua amministrazione municipale la statua dedicata al maresciallo sovietico Ivan Konev – eroe anti-nazista, poi macchiatosi dei crimini dell’occipazione sovietica dietro alla Cortina di Ferro – e dopo che Hrib aveva attirato le ire di Mosca a febbraio, quando ha deciso di cambiare nome alla piazza praghese antistante all’ambasciata russa, intitolandola a Boris Nemtsov (simbolo delle opposizioni al potere di Vladimir Putin, ucciso nel 2015  pochi passi dal Cremlino in quello che è considerato un omicidio politico).

I due amministratori sarebbero stati messi sotto scorta dopo che i servizi segreti cechi avevano intercettato un uomo, arrivato all’aeroporto di Praga con passaporto diplomatico russo e una valigetta contenente ricina.

Almeno stando a quanto pubblicato dalla stampa ceca, era lì per una missione segreta. Una di quelle da portare avanti con “l’ombrello bulgaro”, come viene chiamata l’arma di epoca sovietica con cui fu assassinato un giornalista bulgaro negli anni Settanta. La ricina è un veleno potentissimo, in grado di uccidere anche in piccole quantità: è nota l’operazione in cui fu montato sulla punta di un ombrello uno spillo imbevuto della sostanza, e un agente del Kgb la infilò sulla gamba di un giornalista scomodo in Bulgaria, uccidendolo.

Come riporta Agenzia Nova, Mitrofanova ha detto che certe accuse sono concepite per intensificare la reazione negativa scatenata dalla demolizione del monumento al maresciallo sovietico. Val la pena ricordare che, sebbene in forma anonima, le informazioni sono state passate alla stampa dall’intelligence ceca, il Bis, che su questo ha già avviato un’inchiesta. Il portavoce dell’agenzia dei servizi ha detto che la fuga di notizie ha complicato il loro lavoro, e per questo c’è un’indagine in corso.

Ci sono almeno due letture della vicenda. La prima, puramente speculativa e a tratti complottista: qualcuno ha fatto uscire la notizia per compromettere l’attività di intelligence ceca, esporne la russofobia e in definitiva favorire Mosca. La questione è tutt’altro di secondo piano. Anche perché ha alterato parte del dibattito pubblico in Repubblica Ceca.

Di qui la seconda. Il presidente, Milos Zeman (nella foto), ha criticato la decisione russa di procedere per vie legali contro la rimozione della statua di Konev (i gruppi nazionalisti russi erano andati anche oltre, proponendo di andare a riprendersi la statua con i carri armati); ma allo stesso tempo ha attaccato la scelta della rimozione, “figlia della stupidità di politici locali” – sia Hirb che Kolar sono membri dell’opposizione al governo di Andrej Babiš, pupillo di Zeman.

Poi il presidente ha aggiunto che l’informazione sul diplomatico con la valigetta alla ricina non è stata confermata dall’intelligence e che dunque non ci sono ragioni per cui quei due amministratori restino in regime di sorveglianza speciale. Siamo nel campo del confronto politico interno.

Il dibattito è avvelenato, e già di per sé è un successo per Mosca (ragione in più, ma restiamo nel campo della speculazioni, per pensare che possa esserci stata qualche fuga di notizie forzata).

Zeman è un presidente non certo avverso alla Russia, ma all’interno del suo Paese esistono posizioni molto differenti. La vicenda della statua di Konev è per altro significativa per il simbolismo che la strategia putiniana affida al mito della Seconda guerra mondiale e alla liberazione dal nazismo.

In un’analisi approfondita su Limes, Orietta Moscatelli sottolinea questo aspetto della narrazione di Putin. La storia è uno strumento in grado di muovere le collettività, e Putin lo usa per spingere un revisionismo della Seconda guerra mondiale con cui dipingere il Paese come honest broker passato, presente e futuro.

È probabile che anche per questo il Cremlino abbia dato molta attenzione a quanto successo. In alcuni Paesi più di altri, i monumenti non sono altro che una rappresentazione fisica della storia: la loro rimozione ha un significato molto più profondo del loro valore urbanistico.

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