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Recovery fund. Le ragioni e il torto dei Paesi Ue rigoristi spiegati dal prof. Pennisi

Domani 27 maggio, la Commissione europea presenterà il proprio programma per il Recovery Fund. Si apriranno subito negoziati ufficiali in vista del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo dei 27 Stati dell’Unione europea (Ue) del 18-19 giugno che sarà probabilmente preceduto da una o due riunioni dell’Eurogruppo dei ministri dell’Economia e delle Finanze dei 19 dell’Unione monetaria.

Molto probabilmente il Consiglio europeo dovrà essere seguito almeno da un’altra riunione in luglio prima che raggiunga un accordo. Il primo luglio la Presidenza dei Consigli europei passa dalla Croazia alla Germania. Se potrà e se vorrà. Angela Merkel potrà fare sentire la propria visione ed il proprio peso.

La prassi è che prima di presentare la proposta, la Commissione europea si consulti con i rappresentanti dei 27, di solito con i funzionari delle Rappresentanze Permanenti di stanza a Bruxelles. Questa volta, le consultazioni sono state per così dire “in piazza”. La Francia e la Germania hanno formulato una proposta comune e la hanno diramata. E quattro Stati “frugali” – sarebbe più appropriato chiamarli “rigoristi” (Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia) – hanno messo i paletti alla proposta per bocca dei loro leader. I loro voti sono sufficienti a porre il veto; avranno probabilmente il supporto di Polonia e di Ungheria e forse delle Repubbliche Baltiche. Quindi dipende da loro se il Recovery Fund si farà e quali ne saranno le modalità. Occorre comprendere i loro punti di vista che sono i seguenti.

a) La proposta franco-tedesca è un cavallo di Troia per giungere ad un’unione fiscale con un grande trasferimento di sovranità dai singoli Stati dell’Ue. Tale unione fiscale andrebbe discussa nel merito a livello politico e necessiterebbe una profonda revisione dei Trattati europei. Questo – occorre dire – è anche il punto di vista di un limpido federalista come il prof. Vincenzo Russo, il quale nel proprio blog ha messo un post a supporto del Recovery Fund proprio in quanto grimaldello dell’unione fiscale.

b) Il trasferimento tramite grants (finanziamenti a fondo perduto) premia chi come l’Italia dal 2008 chiede ed ottiene deroghe agli accordi europei non per fare spese di sviluppo o per affrontare problemi strutturali ma per operazioni assistenziali che in alcuni casi (reddito di cittadinanza) hanno favorito il lavoro nero e la criminalità organizzata. È impossibile spiegare agli elettori perché non si usino loans (prestiti) a condizioni (tasso d’interesse, periodo d’ammortamento) almeno analoghe a quelle a cui la Commissione si indebita sul mercato.

c) Tutti i finanziamenti a Stati prevedono “condizionalità” in materia di politica economica e stretta vigilanza. Difficile capire (e far capire ai propri elettori) le ragioni di deroghe specialmente a Stati che in passato hanno richiesto solidarietà e dato prova di poca responsabilità.
Su questi tre punti è difficile dare torto ai governi degli Stati “rigoristi” in quanto l’Italia non ha speso o ha speso male grants ottenuti a titolo dei Fondi strutturali europei. Si tenga presente che un professore dell’Università di Uppsala mi ha esternato sconcerto perché il presidente dell’Inps non ha ancora dato le dimissioni e non è stato dimissionato dopo gli scandali sul “reddito di cittadinanza” ed i ritardi sulla erogazione della “cassa integrazione”. Soprattutto un programma a medio termine di riassetto strutturale e di investimenti per la crescita – quale delineato in un recente documento della Commissione – è essenziale per l’Italia e sarebbe una “condizionalità” da apprezzare.

Hanno, però, un torto serio. Non sembrano rendersi conto che, come illustrato su questa testata il 19 maggio, una crisi finanziaria dell’Italia potrebbe travolgere l’euro, essenziale alla loro stessa crescita. Come detto il 19 maggio, per il proseguimento dell’unione monetaria sono necessarie due “medicine”: a) renderla nell’immediato e per un periodo limitato quella “transfer union” a cui tanto si oppongono Austria, Danimarca, Finlandia, Olanda, e Svezia e nei cui confronti è gelido l’elettorato tedesco e b) un metodo per risolvere il nodo del debito sovrano incrementale dovuto alla pandemia. Per b) ci sono proposte, ma per a) è unicamente problema di volontà politica. Anche e soprattutto la loro.


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