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I bonus non sono sempre buoni. L’arch. Pasanisi spiega perché

Negli ultimi anni i nostri governi hanno fatto sempre più ricorso ai bonus, a tal punto che questo termine, importato dalla cultura del marketing e dei giochi on line, appare tra più ricorrenti nello storytelling della politica.

In qualsiasi provvedimento finalizzato a incentivare una categoria sociale, uno specifico settore o promuovere un obiettivo di interesse generale, lo strumento del bonus fa capolino nelle maniere più disparate. Comunque e malgrado la creatività dell’ideatore della norma, il meccanismo del bonus, esportato dal marketing industriale alla politica, è sempre lo stesso: indurre il beneficiario ad agire secondo la logica, o più spesso il sentiment, del “più spendi meno spendi”. Con la speranza di poter perseguire obiettivi di interesse pubblico limitandone l’impatto sul bilancio dello Stato (prima del coronavirus senza incidere sul patto di stabilità).

Veniamo ora al “Decreto Rilancio” che ha introdotto molti bonus, da quello sui monopattini a quello sulle bici elettriche. Ma qui mi voglio concentrare su altri due, il sisma bonus e quello per il turismo. Con il primo si estendono i benefici attualmente previsti con un credito di imposta per gli interventi di miglioramento sismico e/o energetico su edifici esistenti, elevando la detrazione al 110% dell’investimento, per un massimo di 200.000 euro ad unità immobiliare abitativa, da ammortizzare in cinque anni. In sé nulla questio. La logica è: tu spendi e lo Stato ti agevola per avere una casa più sicura, e meno energivora se adotti anche gli interventi per l’eco bonus, ovvero tuteli te stesso e la tua famiglia dal rischio terremoto e risparmi i costi di gestione energetica. La collettività si avvantaggia abbattendo il rischio connesso a risarcimenti pubblici dovuti per “diritto acquisito”, ma sempre meno sostenibili, nel caso di un evento sismico e, eventualmente, abbattendo i livelli di inquinamento. In più si sosterrebbe un settore, quello delle costruzioni, in crisi da molti anni. Questo Kotler lo chiamerebbe “marketing sociale strategico”. Ma i nostri ministri si sono chiesti perché fino ad oggi il sisma bonus non ha funzionato? Siamo sicuri che un solo ulteriore vantaggio fiscale potrà sbloccare la situazione?

A me francamente non sembra. E vi spiego perché in modo semplice e comprensibile. Mettiamo il caso, che riguarda la maggior parte degli italiani, che vivete in un appartamento di proprietà costruito senza criteri antisismici. Le condizioni per poter usufruire del bonus sono che tutti i condomini decidano unanimemente di aderirvi e trovino una sistemazione temporanea nel corso dei lavori e, in più, trovino conveniente, rispetto al proprio reddito, di usufruire del risparmio in termini di credito di imposta. Pur ammettendo il vantaggio introdotto dal legislatore con la possibilità di cessione del credito di imposta a soggetti finanziari, vi pare possibile che in un normale condominio italiano si possano verificare le tre condizioni precedentemente indicate? Mi pare evidente di no, come è stato fino ad oggi con un agevolazione solo leggermente più bassa. Conseguentemente il bonus potrebbe interessare solo ed esclusivamente le case unifamiliari o simili. Edifici che per caratteristiche tipologiche, altezza, masse, ecc., sono quelle che hanno meno necessità di interventi di adeguamento sismico.

Veniamo al secondo bonus. Si tratta di un contributo a favore delle famiglie, con un reddito sotto i 40.000 euro l’anno, di 100 euro per single, 250 per le coppie e 500 per i nuclei più numerosi, contributo da poter spendere in strutture turistiche nazionali. Obiettivo: coniugare politiche di sostegno alle famiglie e incremento della domanda turistica interna. Risultati sperati: non pervenuti. Certo che pensare che l’1,25% di contributo rispetto al proprio reddito possa determinare la decisione di una famiglia di andare o non andare in vacanza, sembra veramente una chimera.

Insomma i bonus piacciono sempre di più alla classe politica di questo periodo a prescindere dagli effetti, in quanto strumenti di consenso e propaganda di più immediata comprensione da parte degli elettori. E molto più facilmente comunicabili rispetto a politiche di riduzione della fiscalità generale, sburocratizzazione, o alle più complesse e strutturate politiche agevolative di cui ha largamente beneficiato l’industria ma che non hanno mai riguardato né il settore dell’edilizia che quello del turismo. Quindi il Decreto Rilancio dimostra che almeno per la politica non è vero che dopo il Covid-19 “nulla sarà come prima”.

(Ultimo aggiornamento 14/05/2020 ore 8:30)

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