Credo nella natura benevola degli esseri umani, e in questo Rousseau non c’entra più di tanto. C’entra, invece, la capacità di commozione, dall’etimo latino “commovēre”, mettere in movimento, agitare, rompere la fissità. Dunque l’incorrotto originale che è in noi non può che commuoversi di fronte ad Ezio Bosso, che da oggi non c’è più. Almeno nel suo essere fisico.
Si è detto tutto in qualche ora da che si è sparsa la notizia e forse si è pianto di fronte alla sua estatica ed estetica capacità di trasmutare la sofferenza in serenità, sorriso, speranza. Musica, elemento che si addice agli angeli. Chi ha avuto la fortuna di ascoltare dal vivo un suo concerto, oltre la musica – bellissima, magnetica, piena, nelle armonie e nelle pause di silenzio, nei gesti del Maestro d’orchestra, nell’eleganza assoluta della sua presenza in scena – serba qualcosa di più di un’eco musicale. È una traccia di umanità che urla l’ingiusto ed il sublime, il dramma ed il riscatto, il limite e il suo superamento.
Bosso entrava nel dolore per raggiungere la sua arte e liberava con la sua musica il dolore degli altri. Perché ci sono tanti malati come il Maestro in questo mondo, quelli che non guariranno mai, che non avranno mai attorno a loro l’empatia riservata al musicista, che non riusciranno mai a trovare la forza per un traguardo. Perché non c’è nessun traguardo in una malattia che ti succhia la vita ogni giorno di più. Chissà, forse in questo lungo tempo di sospensione che abbiamo dovuto vivere, con le giornate scandite dai bollettini di guerra dal fronte Covid, giorni che ci hanno messo in faccia le terribili tabelle della malattia e dell’ineluttabilità della fine, probabilmente il nostro pensiero ha incrociato, almeno per un momento, il destino delle tante persone negli ospedali e fra quelle di chi non ce la faceva.
Il coronavirus ha dato cittadinanza a ciò che nell’immaginario artificiale delle pubblicità, del comune sentire nel mondo contemporaneo, delle promesse della politica, è solitamente rimosso: il fatto di essere umani e dunque fragilissimi e mortali. Siamo ospiti per un tempo infinitesimo di questa terra e questo tendiamo a dimenticarlo. In questa frazione di tempo, poi, ci sono ospiti costretti a sofferenze e a malattie che non lasciano speranza di guarigione. Bosso ha avuto la forza di entrare nella sofferenza, di frantumarla e di sconfiggere il suo potere paralizzante, per un poco. Nella frazione di tempo – troppo piccola – che Dio gli ha dato, ha rubato con la sua caparbietà , con la sua intelligenza, con la sua trascinante passione, una particola di sublime. Un anticipo di paradiso donato agli esseri umani. L’ha fatto anche per tutti gli altri, quelli che vivono non riuscendo a immaginare di andarsene da vecchi da questo mondo, in un giorno remoto e non possono far dono a nessuno di altro, se non della propria fragilità. Ecco, ricordiamo con riconoscenza il Maestro e l’Uomo, volgendo una volta in più lo sguardo a chi vive senza la speranza e senza il riscatto di un’arte diversa dall’aggrapparsi alla vita con i denti.