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Riformismo addio. Franceschini e l’alleanza organica con M5S. Parla Panarari

L’ipotesi di un’alleanza strutturale tra il Partito Democratico e il Movimento 5 stelle paventata recentemente dal ministro Dario Franceschini forse è più di un’ipotesi. E, forse, lo è proprio perché formulata da Francescini. “In genere, quando si muove lui, è il preludio ad una serie di spostamenti all’intero del Pd e più in generale del centro sinistra“.

A dirlo è Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione, saggista e docente dell’Università Mercatorum che, nella lucida analisi che propone a Formiche.net, di fatto osserva le dichiarazioni del ministro per i Beni e le attività culturali da due prospettive distinte. Una più meramente personale e una più generale. “Nella partita post pandemia – dice Panarari – la posizione del premier Conte sarà meno solida di prima. Così come è stato identificato come il comandante in campo nella fase più acuta dell’epidemia da Covid-19, ora i problemi crescenti a tutti i livelli a partire da quello economico possono essere scaricati su di lui“.

Dunque, l’avvocato degli italiani non è più intoccabile e alcuni personaggi potrebbero ambire a prendere il suo posto. Uno di questi, sostiene il sociologo, “potrebbe proprio essere Franceschini. Non solo perché è capo delegazione del Pd, bensì perché rappresenta un elemento che potrebbe compattare il centrosinistra anche sulla parte dell’elettorato cattolico“.

Peraltro, se si considera la situazione anche in termini di consenso che il Pd riscontra in questo periodo, il solo pensiero di opporsi alla prospettiva di avere l’avvocato ferrarese come premier sarebbe quantomeno inusitato. Anche perché, osserva il docente, “nessuno all’interno della sinistra ha il potere di Franceschini. E, l’idea di averlo premier, potrebbe essere digerita anche da Italia Viva”.

Elemento questo non di poca rilevanza. Basti comunque pensare che l’attuale ministro al Mibact lo fu anche con Renzi regnante. E fu renziano di ferro, salvo poi fare retromarcia e assicurarsi un nuovo ruolo di primo piano all’interno del costituendo Conte bis. Come ricorda Panarari, l’ipotesi un collegamento che arrivasse quasi ad una fusione consolidata tra Movimento 5 stelle e il Pd non è nuova.

Roberto Fico – incalza il sociologo – sebbene con modalità e toni diversi, tempo fa aveva prospettato questa nuova formula politica basata essenzialmente su una strutturazione diversa delle due forze attualmente al governo”. In un certo senso, quindi, l’alter ergo grillino del ferrarese sarebbe il presidente della Camera. Eppure, questo nuovo assetto politico, a detta di Panarari costerebbe non poco al Pd. Una trasformazione che andrebbe a “mettere in discussione alcuni dei punti cardine su cui si è costituito il partito democratico”.

“Per la prima volta e in maniera così esplicita – analizza – il Pd rinuncia alla vocazione riformista, oltre che maggioritaria. Ora si va a indicare uno spostamento verso una formula politica nuova lontana dai pilastri di fondamento del Pd. Viene ad essere rimessa in discussione l’idea della fedeltà atlantica, l’europeismo e una cera concezione di stato di diritto, oltre che una linea ben definita sulle politiche migratorie. Tutto questo diventa l’oggetto della negoziazione tra i ‘dem’ e un partito/movimento che ha una natura antiparlamentare e populista”.

È chiaro come la pandemia abbia “profondamente cambiato gli assetti della politica italiana e quindi la natura di movimenti politici stessi”. In termini di ricaduta elettorale è impossibile tracciare una stima di come questa fusione potrà essere percepita dagli elettori. L’elemento di certezza è che si tratterebbe di un’alleanza, quantomeno nella prima fase, “puramente parlamentare”. Se è vero, come plausibilmente è vero che l’idea di un esecutivo guidato da Francescini possa piacere a Italia Viva a partire da suo leader, è altrettanto vero che non si sa come le componenti dell’attuale sinistra centrista (Iv e Azione di Calenda) possano digerire il cambiamento strutturale del Partito Democratico.

“Il passaggio dall’idea del contratto tra le due forze di governo attualmente in carica ad una sorta di strutturazione strategica dell’alleanza – dice Panarari – porterebbe rendere più difficile la vita alla componente riformista e generare una rottura definitiva con Renzi e Calenda che di contro avrebbero più spazio, elettoralmente parlando, al centro. Questo confermerebbe un ulteriore momento del laboratorio italiano: una vera e propria contaminazione post moderna, ma con un grande paradosso. Il Pd dopo essersi ricollocato all’interno della famiglia della socialdemocrazia europea si troverebbe a fare i conti con un partito totalmente diverso e su posizioni a tratti diametralmente opposte“.

Senza contare che “Il Movimento 5 Stelle non avendo completato il processo di istituzionalizzazione, con la fusione a freddo con il Pd, andrebbe incontro ad una normalizzazione che però porterebbe portare in dote molti problemi al Pd”. È vero che, come teorizza Panarari “a Franceschini piace interpretare la politica da posizioni di Governo” o dalle stanze dei bottoni per dirla con Nenni ma, una domanda sorge spontanea: questa operazione gioverebbe al Pd?

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