Prima o poi la crescita ritornerà. Difficile ancora stabilire quando, dipende dalla lettera dell’alfabeto a cui più assomiglierà la curva del Pil nei prossimi mesi. Nel momento in cui succederà, le aziende italiane dovranno essere pronte. Sarà necessario innovare i business model, accelerare i processi di trasformazione digitale, ripensare i processi produttivi, aggredire nuovi mercati, accettare le sfide della sostenibilità.
I rendimenti non saranno immediati. Per supportare le imprese serviranno nuovi capitali da parte di investitori professionali disposti ad assumere rischi e aspettare. Non possiamo rimandare, tuttavia, il problema al momento in cui arriveranno i primi segnali di ripresa. Questi capitali servono ora.
Se le imprese non supereranno gli attuali problemi di liquidità, anche le migliori, quelle che intravedono opportunità dietro l’angolo, non arriveranno mai a rivedere la crescita. Se sopravvivranno, dovranno affrontare le sfide future con una struttura finanziaria molto fragile caratterizzata da un eccessivo indebitamento. Serve quindi nuovo capitale di rischio che possa dare respiro alle imprese, consentir loro di programmare il futuro e realizzare quelle innovazioni che saranno necessarie per competere a livello globale nella fase post-Covid.
Ed è arrivato quindi il momento di iniettare equity. Non solo è necessario per il sistema paese, ma può risultare anche interessante per gli investitori. I fondi di private equity, infatti, generano i propri rendimenti su orizzonti temporali non brevi. Investire nel capitale di rischio in questo momento contribuirà non solo alla sopravvivenza delle imprese, ma permetterà di accompagnarle in un possibile percorso di crescita non appena se ne verificheranno le condizioni. Al momento dell’uscita, dunque, tutti potrebbero beneficiare dell’incremento di valore.
L’ultimo Global Private Equity Report di Bain&Company mostra a tal riguardo che i rendimenti dei fondi misurati sul periodo dal 2009 al 2019, che ha seguito la grande crisi, risultano più alti di quelli registrati su orizzonti temporali più ravvicinati o più lontani. La eventuale disponibilità di capitali pazienti, tuttavia, non basta da sola. Dall’altro lato, bisogna trovare imprenditori disposti ad aprire il capitale delle proprie aziende ad investitori istituzionali e a condividere il controllo, con la consapevolezza che l’obiettivo comune è quello di avviare un processo di crescita e miglioramento dei risultati economici.
Questi meccanismi non sempre si attivano automaticamente. Dovrà essere creato il terreno fertile dove investitori ed imprenditori possano incontrarsi. Due sono le condizioni, in particolare, che possono facilitare questo processo. In primo luogo, occorrerà definire meccanismi che facilitino l’uscita dei fondi alla scadenza del periodo di investimento, presupposto necessario perché vengano generati rendimenti adeguati al rischio assunto dai sottoscrittori. Questo dovrà avvenire senza dover necessariamente esercitare eventuali clausole di drag-along, che tanto preoccupano gli imprenditori.
Il canale ideale per l’uscita sarebbe un mercato azionario efficiente, che permetta agli investitori di cedere le proprie quote attraverso un’offerta pubblica. Ad oggi, il mercato Aim, potenzialmente dedicato a queste operazioni, non è sufficiente liquido. Misure fiscali che consentano di orientare il risparmio verso i mercati azionari, anche sul solco dell’esperienza dei Pir, potrebbero essere efficaci in tal senso.
La seconda questione riguarda l’orizzonte di investimento. Tipicamente un fondo di private equity mantiene l’investimento in portafoglio per un periodo che varia tra i tre e i cinque anni. Un periodo più lungo potrebbe pregiudicare i tassi di rendimento offerti agli investitori, che non sarebbero più in linea con il rischio intrinseco questa asset class. Nella situazione attuale, è possibile che sia necessario più tempo per raggiungere gli obiettivi di creazione di valore. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di offrire benefici fiscali per i rendimenti generati da investimenti in capitale di rischio oltre un certo orizzonte temporale, tali da compensare la perdita di Irr.
Non dovranno, infine, essere lasciate sole le piccole imprese, che molto spesso escono dal radar dei fondi di private equity per ragioni di scala, ma che sono fondamentali ai fini della tenuta del sistema economico e sociale. In questo caso, occorre ricordare che le recenti innovazioni finanziarie hanno messo a disposizione strumenti, come il crowdfunding, che meglio si adattano alle necessità delle piccole e delle micro imprese.
Ad oggi la diffusione di questi strumenti in Italia è ancora imitata, ma iniziative mirate possono supportare le imprese nei settori più colpiti, come quelli del commercio, della ristorazione e del turismo, dando loro ossigeno in attesa della auspicata ripresa. Potrebbe essere una goccia nel mare, ma in questo momento ogni goccia può diventare importante.