Secondo il generale americano Gregory Hadfield, vice direttore del dipartimento intelligence del comando del Pentagono che copre l’Africa (Africom), per la Russia sostenere il capo miliziano dell’Est libico, Khalifa Haftar, “significa non tanto vincere la guerra, quanto sviluppare roccaforti”.
Il piano russo in Libia non è raggiungere la vittoria militare nella guerra civile (che il signore della guerra orientale ha ravvivato il 4 aprile 2019 nel tentativo di rovesciare il governo onusiano di Tripoli, Gna), quanto la costruzione di un lotto di influenza nel paese attraverso la sfera d’intervento spinta nella Cirenaica.
“Se la Russia si assicura una posizione permanente in Libia o, peggio, impiega i suoi sistemi missilistici a lungo raggio, potrebbe essere un game changer per l’Europa, per la Nato e per molti paesi occidentali”, ha aggiunto il generale Usa. Non è la prima di questo genere di considerazioni in questi giorni, testimonianza che il palesarsi della Russia dietro ad Haftar è una preoccupazione che ha fatto alzare le antenne a Washington sul dossier.
Soprattutto dopo che la presenza militare russa è passata dal più leggero contingente informale rappresentato dai contractor Wagner –disposti sul fronte tripolino e ora in ritirata tattico-strategica verso la Cirenaica – alla forma più ufficiale: l’invio di caccia passati dalla Siria e dispiegati nella base di al Jufra. Viaggio coperto e tracciata dall’intelligence militare americana e denunciato pubblicamente con la diffusione di immagini da parte di AfriCom.
Nelle ore in cui la dichiarazione di Hadfield rimbalzava tra i media, il dipartimento di Stato americano sottolineava una “lode” al governo maltese per aver intercettato un carico contenente 1,1 miliardi di dinari libici, stampati in Russia di contrabbando e diretti in Cirenaica. Il conio era stato affidato alla Goznak di San Pietroburgo, le cui azioni sono possedute per il 100 per cento dal ministero dell’Economia (e dunque è un asset del governo); la ditta si occupa di produzione di carta moneta e titoli di Stato anche per altri stati, tra cui Libano, Yemen, Guatemala, Ruanda e Angola. La Goznak segue questo genere di attività in Libia fin da maggio del 2016.
Contemporaneamente, lo stesso comando Africa del Pentagono ha diffuso un readout di una conversazione tra il comandante Stephen Townsend, e il ministro della Difesa tunisino, Imed Hazgu: “Mentre la Russia continua a soffiare sul fuoco del conflitto libico, la sicurezza regionale in Nord Africa è una preoccupazione crescente”, dice l’americano, e per questo “stiamo cercando nuovi modi per affrontare i problemi di sicurezza comuni con la Tunisia, incluso l’uso della nostra brigata di assistenza alle forze di sicurezza”.
Un dispiegamento militare, dunque, che potrebbe bilanciare dalla Tunisia la presenza russa sul lato che aggredisce Tripoli, e in allineamento alla cooperazione militare che la Turchia ha offerto – e rafforzato ultimamente – alle forze che difendono il Gna.
Un posizionamento, per ora non militare e poco formale, che anche il vicepremier libico, Ahmed Maiteeg, ha sottolineato durante un webinar organizzato dall’Atlantic Council giovedì: “I tradizionali alleati statunitensi nella regione, come gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, sostengono ancora Haftar nonostante Washington appoggi il Gna”.
“La promessa di Haftar ai russi di basi aeree e navali metterà la Libia in una posizione simile alla Siria”, ha spiegato durante l’incontro Mehmet Öğütçü, ex diplomatico turco e presidente della Global Resources Partnership: “Questo è il motivo per cui la Nato e l’Ue stanno cercando di intervenire a favore di Tripoli per impedirlo, a causa della minaccia intrinseca di una Russia di ottenere una nuova Crimea in Libia”.
“Ci sono tre fatti che influenzano la guerra libica – ha spiegato Maiteeg –: primo, la Russia; secondo, l’accordo libico (l’Lpa firmato dall’Onu nel 2015. Ndr) e terzo, gli alleati di Haftar che stanno ricalcolando le loro posizioni. Quest’ultimo passaggio sta accadendo perché c’è un’assenza di leadership politica americana. La Casa Bianca non ha prestato troppa attenzione alla situazione in Libia e ora la Turchia sta ricoprendo quel ruolo, ma la leva di Ankara è limitata sugli altri attori in quanto non possono costringerli a cambiare in modo significativo la loro politica”.
Cosa che invece gli Usa hanno forza politica per fare. Anche per questo, Maiteeg sta curando i rapporti con Washington attraverso contatti sia con l’ambasciata americana in Libia (che lavora da Tunisi ma ha un nuovo ambasciatore, Richard Norland, che ha impresso un ritmo più assertivo sul dossier), sia con il Consigliere alla Sicurezza nazionale (Robert O’Brien).
Secondo quanto emerso nel panel, lo scenario che il vicepremier libico vede come più percorribile per risolvere il conflitto riguarda un cessate il fuoco garantito dalla presenza “convinta” di attori come Stati Uniti, Russia, Emirati Arabi Uniti (sponsor massimalista di Haftar), Turchia e altri, ma “deve essere una soluzione libica, o almeno non deve marginalizzare i libici quando si tratta di determinare il futuro della Libia dopo il conflitto”.
A una domanda sulla possibilità di sedersi al tavolo, ancora, con Haftar, Maiteeg ha risposto in modo secco e negativo. Il vicepremier ha spiegato che dopo una lunga serie di contatti durante gli anni passati, fino al tentativo con la conferenza di Berlino di inizio 2020, per il Gna non c’è più spazio per i contatti col signore della guerra della Cirenaica. Haftar è dunque diventato un ostacolo ingombrante se il traguardo è quello dell’accordo negoziale.
Oggi il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, ha avuto una conversazione telefonica con Fayez Serraj, il premier libico. L’Italia ha da sempre cercato di mantenere i piedi in entrambi gli schieramenti, considerando Haftar un “interlocutore”, ma a questo punto la posizione di Roma rischia di essere superata — anche per via della partita russo-americana in corso. Serraj ha ribadito a Conte che i negoziati riprenderanno “una volta sconfitto l‘aggressore”, ossia Haftar.
(Foto: Katelyn Hunter, US Marine Corp)