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Perché Putin cerca distrazioni esterne? La crisi in Russia e i rischi per lo Zar

Due Sukhoi Su-35, caccia da superiorità aerea russi, hanno intercettato un aereo da ricognizione P-8 americano sulle acque del Mediterraneo orientale. L’episodio è avvenuto due giorni fa, sopra la più delicata regione del bacino, dove si dipanano dinamiche geopolitiche – frutto del sistema di relazioni creatosi attorno a un gasdotto, ormai reso praticamente inattuabile dall’epidemia — che vedono coinvolti Egitto, Cipro e Grecia su un lato, Turchia sull’altro, con prolungamenti fino al conflitto libico.

I caccia erano decollati dalla base siriana di Hmeimim, vicino Latakia, centro della proiezione militare russa nel Mediterraneo e della presa sul regime siriano. Dalla stessa base sono transitati giorni fa i caccia russi che il Cremlino ha spostato in Libia per aumentare la presa sulla regione orientale del paese, la Cirenaica. Uno show of force di stampo putiniano che il Pentagono ha denunciato pubblicamente con tanto di immagini, probabilmente riprese anche attraverso il lavoro di quei P-8.

Vladimir Putin non ferma il suo avventurismo, anzi rilancia con la Libia quanto già visto in Siria e Ucraina. Operazioni di distrazione esterna che – insieme all’autoritarismo all’interno – dovrebbero servire anche a spostare l’attenzione dai problemi della Russia e della sua leadership. Capitolo analogo riguarda la celebrazione della festa della Vittoria: saltata la rituale festa del 9 maggio (ricorrenza della vittoria sul nazi-fascimo) a causa del dilagare dell’epidemia prodotta dal SarsCoV-2, Putin ha comunicato nei giorni scorsi la volontà di procedere con la parata commemorativa il 24 giugno.

Il presidente russo ha proiettato sulla ricorrenza l’ethos su cui pressa per risvegliare i sentimenti patriottici tra la sua popolazione. Una base comune su cui la collettività russa dovrebbe seguire le azioni del suo leader. E non solo, Mosca starebbe inviando inviti a diversi altri capi di Stato e di governo stranieri affinché partecipino alla celebrazione.

Tra questi Emmanuel Macron, ma il francese non è l’unico – però c’è da fare i conti con il Covid-19 e le sue conseguenze nelle relazioni umane, comprese quelle tra capi di Stato: avranno fiducia nell’andare in Russia? Spiegando che la fase critica dell’epidemia è ormai finita, Putin cerca di portarsi in vantaggio: colpito (anche) dal morbo, prova a rialzare la testa restando concentrato sulla narrativa.

Anche perché se si esce da quel solco il rischio appare chiaro. L’economia russa soffre: e soffre pesantemente di una crescita scarsa che secondo gli economisti non vedrà soluzioni positive nel breve periodo. Problema enorme prodotto dal calo del prezzo del petrolio e delle materie energetiche, asset principali a cui si vincola l’esosa spesa statale (compresa quella per il comparto militare e per le operazioni/azioni all’estero).

Il gas russo è un argomento di sensibilissimo disequilibrio geopolitico con altre Russie (vedi la Bielorussia) e paesi contigui, come l’Armenia, ed è questione in ballo su una trattativa delicatissima all’interno dell’Unione economica eurasiatica. E il taglio delle produzioni di petrolio per agevolare la risalita dei prezzi, deciso a malincuore con i partner Opec (anche per mantenere attivo il link col mondo del Golfo), potrebbe portarsi dietro situazioni permanenti. I pozzi siberiani sono molto profondi, e chiuderli produce problematiche tecniche non indifferenti (anche per questo la Russia inizialmente non voleva accettare la proposta saudita): addirittura si suppone che alcuni pozzi potrebbero non essere riaperti.

Putin è in calo di consensi da mesi, nonostante stia pianificando la nuova presa sul potere alla scadenza dell’attuale mandato. L’approval del presidente s’è indebolito notevolmente e come ha annotato l’Economist la fiducia in lui è sprofondata.  La crisi economica morde e soprattutto le classi demografiche più giovani non vedono un futuro davanti a loro. Il Financial Times riporta un dato netto: il 53 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni pianifica di lasciare il Paese appena possibile.

I cittadini russi temono i tagli salariali, che invece nel primo trimestre del 2020 erano cresciuti, data la maggiore spesa pubblica per finanziare alcuni progetti statali. Sono convinti del calo dei propri standard di vita, e d’altronde il previsionale vede indicare una diminuzione della domanda di acquisto attorno al 15-50 per cento.

La condizione critica si lega al Covid, ma non solo: si ricorderà che era uscita allo scoperto con le proteste del dicembre scorso – represse con la forza dal Cremlino – e attualmente aggravata dagli effetti della pandemia. Dopo la sofferta quanto necessaria riforma delle pensioni per risparmiare sulla spesa, ora Putin si trova davanti altre scelte severe per cercare di normalizzare la situazione ed evitare che lo scontento diventi grave.

Già in queste settimane ci sono state proteste del personale sanitario perché il bonus extra – l’equivalente in rubli di 1500 dollari, promessi da Putin in persona per aiutare gli eroi – non è mai arrivato. Manifestazioni sfociate in denunce e qualche spintone con la polizia. Niente rubli, mentre i media propinano costantemente la retorica del “miracolo russo”, grazie al lavoro dell’eccezionale personale sanitario che ha permesso di contenere a meno 4mila le vittime davanti a quasi 400mila contagiati – ma i numeri ufficiali potrebbero aver avuto un pesante maquillage sempre secondo quell’ottica putiniana di patria, forza e machismo efficiente.

Su questo, un altro dato prima di andare avanti: secondo il Levada Center, solo il 46 per cento dei russi crede che Putin abbia agito correttamente nel contenimento del coronavirus. Questo è un valore specifico che però ha valore generale: la comunità governata, davanti alla crisi gigantesca e spaventosa prodotta dalla pandemia, valuta nel contenimento virale le qualità della leadership in generale. Per istinto: e nelle fasi successive, dopo un iniziale affidamento a chi ha in mano il potere, gli aspetti critici vengono ancora di più messi in evidenza.

I medici denunciano carenze nei (pochi, ma potentissimi) spazi media in cui si riescono a esprimere opinioni critiche in Russia, ma contemporaneamente il Cremlino direziona aiuti all’esterno. Dalla campagna di sharp power in Italia alle spedizioni negli Stati Uniti – con il denominatore comune, oltre alla volontà di sfruttare la crisi epidemica per creare spazi di politica estera, le apparecchiature non troppo affidabili, tanto che alcuni lotti sono stati rispediti al mittente dagli americani dopo che nelle terapie intensive di Mosca e San Pietroburgo dei respiratori polmonari avevano preso fuoco e ucciso i pazienti.

Inoltre, come in altre Paesi del mondo, anche in Russia la pandemia ha messo a nudo faglie del sistema: il rapporto tra autorità centrale e regioni periferiche è stato messo in crisi dallo spostamento a queste ultime delle decisioni più severe riguardo a chiusure e ripartenze. Un metodo con cui il Cremlino ha cercato di scaricare sulle regioni le scelte più dure, in modo da rovesciare sulle strutture secondarie il peso dell’insoddisfazione dei cittadini.

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