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Perché oggi abbiamo bisogno del coraggio di Schuman. Il commento di Garavini (IV)

Di Laura Garavini

In pochissimo tempo il coronavirus ha drasticamente cambiato le nostre vite. Ha colpito in particolar modo le persone più fragili e ci ha separato dalle persone a noi più care. Sta avendo un impatto devastante sulle nostre economie, soprattutto quella italiana. La
pandemia ha inoltre riaperto vecchie divisioni all’interno della nostra comunità europea e sta mettendo a rischio lo stesso futuro dell’Unione.

È proprio in momenti di difficoltà come questo che guardare indietro, alla storia, può offrirci spunti, su come andare avanti. Il ricordo può diventare confronto e anche speranza. Ecco perché il Settantesimo anniversario dalla dichiarazione di Schuman assume un’importanza
ancora maggiore. Una dichiarazione che a sua volta fu fatta in un contesto molto delicato della storia europea. Dopo un conflitto con un costo umano inaudito. Dopo milioni di morti, militari e civili. E dopo la Shoah, punto massimo dell’abiezione umana.

Era quello il clima in cui maturarono le parole di Robert Schuman, quando propose che Francia e Germania mettessero in comune le produzioni del carbone e dell’acciaio, come premessa affinché diventasse impossibile una guerra futura. Un tassello di una strategia
più ampia: creare un’unione tra popoli divisi, che si erano combattuti in modo costante e ciclico.

Fu un gesto straordinario, quello di Schuman, rappresentante di un Paese vincitore, che porgeva la mano allo sconfitto, pur causa di tanti mali, per farlo rialzare. Quello stesso spirito di unità che contraddistinse anche il manifesto di Ventotene di Spinelli e Rossi.

Anche in quel caso, durante un periodo buio della nostra storia, su una piccola isola alcuni visionari, chiusi al confino nel carcere di Ventotene, ebbero il coraggio, la passione e la forza di immaginare un disegno federalista europeo. Un documento di una lungimiranza
incredibile.

Oggi abbiamo bisogno dello stesso coraggio e visione. Per superare le difficoltà e fare sì che l’emergenza diventi un‘opportunità di rilancio e di maggiore integrazione europea. Senza lasciarci intimorire. È chiaro che sono tante le forze populiste in Italia che nella loro perpetua ricerca di un nemico, rendono l’Unione Europea il capro espiatorio di tutti problemi del Paese. Anche in questo periodo abbiamo assistito al tentativo di alcune forze politiche di usare la crisi del coronavirus per fare propaganda contro l’Europa. Sono risorti vecchi luoghi comuni e stereotipi, anche da esponenti della maggioranza, volti soprattutto contro la Germania e l’Olanda. Invece di cercare soluzioni comuni c’è chi voleva amplificare le divisioni, per puro opportunismo politico.

Proprio in questo momento è importante rimarcare quanto l’Europa stia facendo per minimizzare l’impatto del coronavirus sul nostro continente. Con strumenti importanti che complessivamente potrebbero ammontare a centinaia di miliardi di euro. Per l’Italia, come
per gli altri Paesi. Per rafforzare il nostro sistema sanitario e per far ripartire l’economia. Senza l’Unione Europea l’Italia sarebbe probabilmente già fallita. Ecco che dobbiamo continuare a lavorare insieme con i partner europei, per far emergere l’interesse comune. Più convinti di prima. Invertendo la tendenza che ogni Paese pensi solo ai propri interessi di breve termine.

La solidarietà – vale a dire la propensione delle nostre diversità a comporsi e non a contrapporsi – non è un qualcosa che si acquisisce una volta per tutte. Va conquistata e mantenuta. Soprattutto in momenti delicati come questo. Facendo attenzione a non adottare la narrazione antieuropeista dei sovranisti. Nè a lasciare la discussione sul domani dell’Europa ad un grigio dibattito tecnico su dettagli e
vincoli.

L’Italia deve far sentire la propria voce in un modo costruttivo e propositivo. Perché l’Europa torni ad essere quella di Schuman e di Spinelli. Che furono capaci, in un momento di crisi, di immaginare un futuro migliore per l’Europa. Spinti da un sogno la cui forza è capace di smuovere le frontiere di un confine e le mura di un carcere. Ecco perché apprezzo e condivido l’idea del consiglio italiano del movimento europeo, secondo cui questo momento delicato può diventare un’opportunità. Per una nuova fase dell’integrazione europea. Come dicevano giustamente Spinelli e Rossi: “La via da percorrere non sarà facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!”.

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