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Se Ue e Germania cambiano postura sulla Cina (non ditelo a Dibba e co)

Avvisate Alessandro Di Battista: l’Ue non si è ancora sciolta “come neve al sole” e tantomeno ha voglia di finire “schiacciata” dalla Cina. Così vaticinava due settimane fa il pasdaran del Movimento Cinque Stelle in una lettera al Fatto Quotidiano, tornato dall’avventura in Iran.

Peccato che l’Ue non sia della stessa idea. In un’intervista al quotidiano francese Le Journal du Dimanche l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell raddrizza il tiro sulla Cina e ammette: “Siamo stati un po’ ingenui in passato”, ma ora “il nostro approccio è diventato più realistico”.

La Cina è sì un “partner strategico”, dice il politico spagnolo, ma è anche “un concorrente economico con un’ambizione di dominio tecnologico” e “un rivale sistemico che cerca di promuovere un modello alternativo di
governance”.

Borrell non è certo conosciuto come hardliner nei confronti di Pechino. Il valzer dietro il report sulla disinformazione del Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas), pubblicato in ritardo anche a causa delle pressioni cinesi non è certo passato inosservato agli occhi dell’alleato americano. Ma il cambio di toni dello spagnolo oggi è eloquente, e soprattutto non è isolato.

Gli fa eco Heiko Maas, il ministro degli Esteri tedesco, chiedendo trasparenza sul virus alla Città Proibita. “Tutto il mondo ha l’interesse che l’origine del virus venga chiarito – dice il ministro di Angela Merkel – Ma risposte fondate devono essere date dalla scienza, non dalla politica: la Cina in questo può mettere alla prova con quanta trasparenza effettivamente intenda la il Covid-19″.

Solo due settimane fa, parlando del conteggio dei morti (falsato) a Wuhan, lo stesso Maas aveva chiosato: “Sono domande alle quali Pechino prima o poi dovrà rispondere”.

Si allarga dunque la cerchia di figure di primo piano europee pronte a chiedere il conto a Pechino. Checché ne dica Di Battista, l’Ue non ha ancora voglia di fare la fine dello scarafaggio…

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