Garantire maggiore liquidità alle imprese e ai cittadini in difficoltà: la ricostruzione passa inevitabilmente dalla collaborazione e dallo scambio tra terzo settore, economia reale e finanza. Lo spiega a Formiche.net Massimo Lapucci segretario generale della Fondazione CRT, terza fondazione di origine bancaria per entità del patrimonio (nel 2019 quello netto è stato superiore a 2,25 miliardi di euro): “Sostenere la tenuta economica – spiega – significa anche sostenere la tenuta sociale del Paese”. E racconta come le OGR, le ex Officine dei treni nel cuore di Torino riconvertite da Fondazione CRT in un centro internazionale per la cultura contemporanea, l’innovazione, la ricerca, il tech (Lapucci ne è direttore generale) siano state in parte trasformate in un ospedale temporaneo per offrire assistenza ai pazienti meno gravi nell’emergenza coronavirus.
Segretario, partiamo dall’impatto che ha avuto il lockdown sulle attività della Fondazione Crt. Come ha reagito Torino? Il Piemonte è stato con la Lombardia e il Veneto una delle regioni maggiormente colpite…
Ancor prima del lockdown, Fondazione CRT ha puntato sulle tecnologie e sul lavoro in smart working e ha avviato subito una revisione del piano di attività per quest’anno: ad esempio, i programmi di formazione per i giovani talenti e per le organizzazioni del territorio sono stati immediatamente riconfigurati in modalità digital. In questa fase emergenziale siamo proattivi e flessibili anche nei confronti dei vari enti e partner che sosteniamo, garantendo loro la liquidità necessaria per continuare a operare, semplificando le procedure, prorogando la finestra temporale per l’utilizzo dei nostri contributi, partecipando al pagamento delle spese sostenute in via eccezionale per il Covid-19. Nella prospettiva di contribuire alla tenuta del tessuto economico, produttivo, sociale, dando maggiori strumenti e maggiori certezze alle imprese, alle persone, alle famiglie in difficoltà, abbiamo anche rafforzato (con La Scialuppa-CRT Onlus) le azioni di prevenzione e contrasto dell’usura, un fenomeno che, purtroppo, rischia di aggravarsi.
Anche per voi esiste un problema di liquidità? Come giudica, ad esempio, la sospensione dei dividendi? Voi siete azionista con l’1,6% di Unicredit, questo potrebbe avere dei contraccolpi sulla vostra attività?
Questo è un tema molto rilevante, anche al di là del sistema bancario. Pur comprendendo la straordinarietà del quadro attuale e la prudenza necessaria, va ricordato che i dividendi di quest’anno sono espressione dell’andamento dell’esercizio 2019, per molti tutt’altro che negativo: dunque, pur con cautele che vanno verificate sul singolo caso, occorre evitare una interruzione dei flussi di liquidità generalizzata, proprio ora che ce n’è più bisogno. Per le Fondazioni come la nostra, che svolgono anche una funzione che definirei di redistribuzione, ricevendo risorse da società partecipate del settore profit per poi redistribuirle ai soggetti del non profit, la sospensione dei dividendi significa una riduzione della capacità di sostegno verso i soggetti più fragili, in un momento di forte criticità. Applicare poi tali raccomandazioni tout court solo nei confronti di alcuni paesi come l’Italia, attraverso indirizzi delle autorità europee competenti per materia, mi è sembrato un po’ semplicistico, tanto più se questa raccomandazione non viene attuata allo stesso modo nel resto d’Europa: così si rischia addirittura di generare un’asimmetria tra Paesi, portando gli investitori a preferire più quei paesi le cui aziende (bancarie o di altra natura), continuino a distribuire dividendi ai propri azionisti. Il tema si riproporrà del resto in modo più evidente nel 2021 quando gli eventuali dividendi da distribuire, se ci saranno, rappresenteranno con molta probabilità il risultato di un 2020 di recessione e difficoltà. Pertanto non distribuire ora significa di fatto creare un potenziale problema di forte riduzione della liquidità disponibile e necessaria per la ripresa ben al di là del momento attuale.
Per voi è importante proprio per garantire che questo flusso di denaro vada versi i soggetti più deboli…
Certo. In questo senso, noi siamo chiamati a svolgere un’azione di riequilibrio: il dividendo ci permette di attuare una politica redistributiva delle risorse verso quegli enti che, altrimenti, non sarebbero destinatari in linea diretta di quei flussi di liquidità.
Veniamo alla Fase 2: come impostata dal governo, con il Dl Rilancio, pensa che vada nella direzione giusta?
Le misure a sostegno del mondo produttivo e delle famiglie dovrebbero mirare a dare una vera scossa dopo il lockdown. Occorrono però maggiori certezze, garantendo che la liquidità, i flussi di cassa, arrivino subito alle imprese, alle persone, alle famiglie in difficoltà. Su questo punto bisogna lavorare ancora molto, perché è sotto gli occhi di tutti che quei flussi tardano ad arrivare. Quindi l’impianto del Dl Rilancio mi sembra buono, in termini quantitativi e di intervento, ma ci sono delle lacune che vanno colmate al più presto, a partire da un sostegno concreto a categorie produttive lasciate fuori come ad es. i liberi professionisti e una buona parte del commercio, che costituisce poi un pezzo fondamentale del tessuto delle nostre città, o a tutto il mondo della cultura e dello spettacolo nelle sue varie declinazioni da sostenere in questa delicata fase di ripartenza.
In che modo?
Va accelerato anche il processo di ibridazione tra profit e non profit: la collaborazione e lo scambio tra terzo settore, economia reale e finanza è oggi più che mai necessario non solo per superare il momento critico, ma anche e soprattutto per affrontare progetti a lungo termine di rilancio: perché sostenere la tenuta economica significa anche scongiurare che si trasformi in emergenza sociale.
Quali sono le strategie di azione che la Fondazione Crt vuole mettere in campo al di là dell’emergenza Covid-19?
Continueremo a garantire un forte sostegno agli enti del terzo settore nei vari ambiti: arte, cultura, ricerca, istruzione, welfare, ambiente e finanza di impatto con strumenti ad hoc per il sostegno delle realtà di piccole e medie dimensioni. Il rilancio del territorio, poi, non può prescindere dall’interscambio, anche culturale, di risorse e progettualità: su questa strategia, volta anche a rafforzare connessioni internazionali, continuerà a basarsi l’intero progetto delle OGR di Torino, riportate a nuova vita e trasformate da Fondazione CRT in Officine della creatività e soprattutto del tech e dell’innovazione, su temi come la blockchain, i big data, le start-up e l’accelerazione d’impresa, la fusione tra arte e tecnologia.
Puntate molto anche sui giovani talenti…
Sì, un’altra sfida che Fondazione CRT porterà avanti anche nei prossimi anni sarà investire nella formazione di qualità, nelle competenze, nei giovani talenti – mettendoli in connessione con il mondo delle imprese ed evitando che si disperdano all’estero energie preziose per la crescita del territorio e del Paese. Sono convinto che un contributo importante in questo senso possa derivare dal Network dei 5.000 Talenti della Fondazione CRT: una community di eccellenze under 35 che si è sviluppata attorno agli ex partecipanti ai programmi di alta formazione della Fondazione CRT (Talenti Neolaureati, per l’Impresa, per l’Export, per il Fundraising, ecc.). Gli alumni dei progetti Talenti della Fondazione CRT sono e saranno “antenne” preziose sul territorio, per ri-costruire una società migliore, orientata a far stare bene le persone e la collettività.
Durante la sua presidenza dell’EFC-European Foundation Centre, Lei ha più volte insistito sull’importanza di una “filantropia transnazionale”. In questo senso ha benedetto l’accordo tra Torino e la Cina per la fornitura di materiale sanitario. Come risponde a chi invece sottolinea che dietro questi aiuti si nasconde la propaganda di Pechino?
In piena emergenza coronavirus, quando era in atto a livello globale una vera e propria ‘corsa’ all’acquisizione di dotazioni medico-sanitarie e di dispositivi di protezione individuale difficili da reperire, non solo in Italia, ma anche sul mercato internazionale, la filantropia italiana, tra cui Fondazione CRT, e quella cinese hanno unito le forze per attivare un ponte aereo in collaborazione con ToChina: diverse tonnellate di materiali urgenti, donati e non acquistati da fondazioni cinesi, sono state trasportate e consegnate verso le prime linee ospedaliere e assistenziali sul territorio. Sono convinto che quell’iniziativa umanitaria innovativa, resa possibile da un grande ‘esercito del bene’ sopranazionale, libero e indipendente da condizionamenti politici, sia stata una carta vincente in uno scenario di forte carenza, incertezza e, spesso, di speculazione nelle filiere di approvvigionamento. Poi il dialogo a mio avviso è sempre utile e necessario, tanto più quando si parla del ruolo della filantropia in varie parti del mondo, compresa quella cinese. Del resto le sfide che dobbiamo affrontare sono per loro natura sempre più globali e non conoscono confini o barriere, a cominciare dalla pandemia in corso.
Questo è chiaro ma la Cina è passata dal focolaio dove si nato e diffuso il virus al grande benefattore globale…
Credo siano due fronti da tenere separati. Le donazioni di materiali come le mascherine, prodotte quasi esclusivamente in Cina e donate da enti filantropici, sono potuti arrivare rapidamente in Italia dove mancavano del tutto. Certamente, però, vi sono aspetti nella gestione e nelle modalità di comunicazione della pandemia da parte del governo cinese che vanno chiariti quanto prima, come ha dichiarato anche l’Organizzazione mondiale della Sanità.
Infine una domanda sul ruolo delle Fondazioni bancarie. Sono ancora vicine al territorio e al loro sviluppo o sono ancora un braccio operativo delle banche?
La maggior parte delle Fondazioni di origine bancaria – certamente Fondazione CRT, che ha avviato da tempo un costante processo di diversificazione degli investimenti rispetto alla banca conferitaria, arrivando a detenere appena l’1,6% della quota di Unicredit – sono molto più vicine ai territori oggi di quanto non lo fossero quando sono nate 30 anni fa. Salvo alcune eccezioni da stigmatizzare, peraltro già penalizzate dalla storia recente, le Fondazioni rappresentano attori del privato sociale, attivi nella creazione di valore sociale per le rispettive comunità di riferimento, contribuendo spesso in modo decisivo alla loro stessa esistenza e al loro sviluppo, in una fase di progressiva contrazione di risorse pubbliche, in settori rilevanti come il welfare, la cultura, la ricerca, la formazione, l’ambiente. Lo si è visto anche nell’emergenza coronavirus, dove l’apporto delle Fondazioni sul territorio è stato riconosciuto come essenziale, in termini di risorse mobilitate, rapidità decisionale, flessibilità operativa, non in sostituzione, ma al fianco delle istituzioni pubbliche.