Parafrasando il titolo di un fortunato romanzo di fantascienza di Robert Heinlein, La luna è una severa maestra, possiamo anche dire che “il virus è un severo maestro”, che ha richiamato tutta l’umanità ad un atteggiamento di umiltà nei confronti della natura e di prudenza nella gestione delle ambizioni e della gestione delle capacità manageriali e tecnologiche delle nostre società.
Molte sono le lezioni che sono state dolorosamente apprese, alcune delle quali avremmo dovuto ricordare da un passato peraltro non tanto remoto, ma ce n’è una che possiamo considerare nuova e che ha a vedere con la capacità delle nostre società post-moderne di incassare colpi e di reagire con successo a situazioni impreviste di stress, in una parola, con la resilienza.
Si tratta di una capacità fisica, che ha a che fare con la tecnologia dei materiali, ma che è ugualmente applicabile alla società, nelle sue caratterizzazioni organizzative, istituzionali e financo della psicologia sociale. Qui vorrei però soffermarmi sugli aspetti della politica industriale che nella fase storica definita della globalizzazione ha visto mutare in modo sostanziale il panorama delle modalità di produzione di un qualsiasi bene, con il progressivo abbandono da parte dei Paesi tecnologicamente più evoluti di gran parte delle produzioni a più basso valore aggiunto e parallelamente, per i prodotti più complessi ed avanzati, ha comportato filiere di approvvigionamento dei componenti distribuite globalmente in base alla pura e semplice convenienza economica.
Un’evoluzione certo molto efficiente in tempi normali e che ha permesso a molti Paesi del cosiddetto terzo mondo di imboccare un percorso di sviluppo economico che ha consentito a centinaia di milioni di uomini e donne di uscire dalla povertà assoluta cui sembravano per sempre condannati.
Tutto bene, finché le cose vanno bene, ma i problemi nascono quando queste filiere, per qualsivoglia motivo si interrompono, o trovano comunque seri ostacoli che possono scaturire da problemi di varia natura, politici, conflittuali, o dovuti a eventi naturali, magari a una pandemia che blocca interi settori produttivi in ampie parti del mondo: allora ci si accorge del rischio che si corre quando non si amplia la base degli approvvigionamenti, in modo da non dipendere da un solo fornitore o da una sola area geografica, ed è un principio che vale in ogni settore, da quello energetico, fino a quello delle minuterie metalliche per le borse marcate Fendi.
Purtroppo, in nome di una ricerca esasperata del profitto economico, nei Paesi sviluppati, in particolare quelli occidentali, tutto ciò ha portato all’abbandono di un’ampia gamma di aree produttive, con l’erosione del saper fare, soprattutto nell’ambito delle tecnologie a basso valore aggiunto, con la conseguenza, in situazioni emergenziali come quella che stiamo vivendo, da un lato di dover dipendere da fornitori esterni di non garantita affidabilità politica, dall’altro di non essere in grado di riavviare filiere produttive nazionali con la necessaria immediatezza.
Una prima lezione pertanto è quella che non si può prescindere dal presidiare le filiere produttive nella loro interezza, anche quando ragioni economiche suggerirebbero di farlo e questo dovrebbe essere uno dei punti fermi di una saggia politica industriale.
All’altra estremità della complessità e dell’avanzamento tecnologico si può osservare che le sfide cui la natura ci pone di fronte devono potere essere affrontate con tutti gli strumenti più sofisticati di cui è possibile disporre, il che significa che non bisogna lesinare in tutti i settori di punta, da cui possono scaturire mezzi e metodologie innovative in grado di arginare ogni tipo di emergenza.
Quindi ricerca di base e applicata non possono e non devono essere considerate, come purtroppo avviene nel nostro Paese, delle cenerentole, ma al contrario, proprio i settori più avanzati devono, e dovranno sempre più in futuro, essere salvaguardati perché ci possono mettere in condizione di incrementare sostanzialmente il livello di resilienza cui dobbiamo puntare: quindi non solo i fondi per la ricerca devono essere salvaguardati, anzi incrementati, ma tutti i settori ad elevata tecnologia non devono essere penalizzati, poiché proprio da lì possono giungere i necessari strumenti innovativi che ci mettono in condizione di affrontare ogni tipo di futura sfida.
In questo quadro rientrano a pieno titolo le spese per investimento della Difesa, che da un lato possono dare un forte sostegno alle traballanti finanze nazionali, grazie a eccellenze che ci sono invidiate (è di ieri la notizia che la Us Navy ha scelto il progetto italiano delle Fremm per rinnovare la sua linea di fregate multiruolo), dall’altro possono esplorare settori della ricerca che sarebbero altrimenti trascurati , salvo poi spalancare opportunità impensate per la sicurezza dei nostri concittadini in tutte le sue forme. Una seconda lezione dunque che ci viene impartita da questo severo maestro: sapranno i nostri governanti essere studenti diligenti?