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Così l’Ue vincerà la crisi. Parla Antonio Parenti (Commissione Ue in Italia)

Antonio Parenti è il nuovo capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Diplomatico di lungo corso, con venticinque anni di carriera alle spalle trascorsi in buona parte fra la Commissione e il Servizio per l’Azione esterna, ma anche all’Onu, lascia la direzione della sezione Affari economici per arrivare a Roma in un momento estremamente delicato per l’Ue, e per l’appartenenza dell’Italia al progetto comunitario. Dalla partita per la solidarietà agli interessi geopolitici di Stati come Cina e Russia, la crisi del Covid-19 costituisce un passaggio-chiave della storia europea. Alla vigilia del suo insediamento, Parenti ha deciso di rilasciare la sua prima intervista a Formiche.net.

Direttore, arriva in Italia in un momento molto delicato per il Paese. Quali sono i principali obiettivi che si pone con il suo mandato a Roma?

Questo è sicuramente un periodo delicato e foriero di importanti cambiamenti. Le grandi sfide dei prossimi anni saranno quelle di assicurarsi che tali cambiamenti siano sostenibili e che il paese esca da questa crisi meglio di come vi era entrato. Gli obiettivi di questa Commissione, che sono naturalmente anche i miei, sono quelli di aiutare l’Italia e gli altri Paesi europei a superare questa crisi e a promuovere un’economia ed una società più sostenibile. Per me e per la Rappresentanza in Italia significa facilitare la comprensione e l’utilizzo degli strumenti e delle politiche europee sia da parte delle autorità che del pubblico più in generale. La sfida è quella di fare comprendere il molto che l’Unione Europea fa per l’Italia, che spesso si perde nei tecnicismi dell’azione europea stessa. Per ottenere questo risultato il dialogo con i cittadini sarà fondamentale.

L’Ue vive un momento difficile. Sulla partita della solidarietà verso gli Stati membri più in difficoltà a causa del virus si gioca la tenuta stessa del progetto comunitario. Qual è secondo lei la posta in gioco?

La solidarietà europea non è venuta meno. Ci sono stati ritardi iniziali, anche dolorosi, ma poi è arrivata una risposta forte da parte delle istituzioni europee, come sottolineato dal presidente Mattarella. Le proposte della Commissione per il nuovo bilancio europeo e il fondo per le nuove generazioni fatte il 27 maggio, e che vedono l’Italia come il maggiore beneficiario in Europa, sono la prova che questa solidarietà non verrà meno. Ora bisogna tradurre le proposte della Commissione in uno strumento accettato da tutti gli Stati membri, ma sono fiducioso che questo obiettivo sarà raggiunto: dire che da questa crisi ne usciamo tutti assieme o non ne usciamo non è vuota retorica. È la realtà di un Europa che deve stare assieme e rafforzarsi per vincere le sfide globali.

Negli Usa si parla in queste settimane di una possibile nuova crisi del debito sovrano in Europa simile se non peggiore di quella del 2012. L’Italia è fra i Paesi più esposti a questo rischio. Come si può vigilare per evitare che accada?

Non credo che sia un rischio reale né per l’Europa né per l’Italia. Il debito pubblico dell’eurozona è inferiore a quello americano e continuerà ad esserlo anche dopo la crisi legata al Covid. Gli strumenti messi in campo dalla Banca Centrale Europea sono enormi e possono essere estesi. La proposta di bilancio europeo fornirà ampie leve finanziarie senza incidere significativamente sul debito pubblico italiano. Certo una volta rimessa in moto l’economia sarà importante pensare a come finalmente ridurre in maniera sostenibile il debito pubblico, non perché lo chiede l’Europa ma perché si sta ipotecando il futuro di tutti noi e dei nostri figli.

Ue e Usa hanno vissuto più di un momento di frizione con questa amministrazione. Quali sono i pilastri su cui rilanciare concretamente la collaborazione a prescindere da chi sarà eletto alla Casa Bianca a novembre?

Sono molte più le cose che uniscono noi e gli Stati Uniti che quelle che ci dividono. Siamo i rispettivi maggiori investitori e abbiamo un sistema industriale fortemente integrato, condividiamo largamente l’alleanza nella Nato, e dobbiamo fare fronte a sfide comuni come il crescente ruolo politico ed economico delle Cina. Questi mi sembrano basi più che solide per una stretta collaborazione tra le due sponde dell’Atlantico.

Russia e Cina sono state definite due rivali strategici dall’Ue. In questi mesi entrambi i Paesi hanno preso parte a una campagna di aiuti per il Covid-19 nei confronti di diversi Stati membri. È stato avanzato il rischio di un riposizionamento geopolitico dell’Ue a seguito di queste campagne. Qual è la sua opinione?

Gli aiuti internazionali nei momenti di crisi, anche quelli solo simbolici, sono molto importanti. La Cina stessa ha ricevuto ingenti aiuti dalla Ue all’inizio della pandemia a Wuhan. Anche se alcuni di questi aiuti possono avere in parte delle finalità politiche e probabilmente un impatto sull’opinione pubblica ben oltre la loro reale portata, sono ben lontani dal poter modificare seriamente essi soli il posizionamento strategico della Ue o dei suoi stati membri. Detto questo, credo che sarebbe molto più opportuno discutere di come rafforzare la Ue nello schacchiere internazionale per far fronte alle sfide presenti e future a livello globale, perché senza un ruolo forte della Ue tutto quello che potranno ottenere i singoli Stati saranno limitati benefici temporanei e grandi costi nel medio-lungo termine.

Lei viene a Roma direttamente dalla rappresentanza Uepresso l’Onu a New York. La crisi del Covid ha visto le Nazioni Unite e tutto il multilaterale in crisi ed incapaci di gestire in prima fila l’emergenza. Che idea ne si è fatto dall’osservatorio newyorkese?

Io ho visto soprattutto il fallimento di chi ha voluto tenere gli occhi chiusi di fronte all’emergenza che stavano vivendo gli altri Stati. La crisi del sistema multilaterale, comunque, precede il Covid e sconta l’acuirsi delle tensioni internazionali, lo scetticismo di alcuni governi verso il sistema multilaterale e la limitata riforma della governance dell’Onu. A New York si tocca tutto questo con mano, ma ci si rende anche conto dei rischi che corriamo se indeboliamo il sistema multilaterale: abbiamo di fronte sfide che richiedono un serio ed efficace coordinamento internazionale a partire dall’implementazione dell’Agenda 2030 e per risollevarci dalla crisi legata al Covid.

Schengen è stato smantellato dagli Stati membri senza nulla chiedere a Bruxelles. Si tornerà a un coordinamento europeo nella gestione delle frontiere interne e della libera circolazione?

Sicuramente la sospensione di Schengen da parte degli stati membri rientrerà con la diminuzione dei rischi legati al Covid e la Commissione ha già fatto delle proposte precise al riguardo. Schengen però dimostra anche la tensione che si può creare tra scelte nazionali e diritti dei cittadini europei. L’intervento della Commissione nelle prime fasi della pandemia è stato fondamentale per limitare gli eccessi di alcune misure nazionali e ci dovrebbe far riflettere su come riformare alcune politiche a livello europeo dove l’enfasi rimane troppo spesso sulla competenza nazionale rispetto alle vere e proprie politiche comuni.

Lei si è occupato a lungo di Wto (ha scritto sul tema anche un libro per il Mulino, ndr) ed è considerato uno dei principali esperti europei in commercio estero. Il Covid lascia in eredità una crisi economica senza precedenti. Come si può mitigarne gli effetti?

A livello globale evitando il ritorno al protezionismo che rischia solo di acuire le difficoltà nazionali, senza per questo abbassare la guardia di fronte ad eventuali comportamenti predatori di alcuni paesi od imprese. Bisogna anche evitare di pensare che il Covid tocchi solo noi. Se i danni fatti in Europa sono stati altissimi, in molti paesi in via di sviluppo rischiano di essere anche peggiori per cui è molto importante la conferma dell’impegno europeo verso questi paesi per il loro sviluppo economico e sociale. Senza questi questi aiutila fragilità di molti questi paesi aumenterà con possibili conseguenze negative anche per l’Europa.

È stato anche il negoziatore europeo del Migration Compact. Come pensa che l’Ue possa aiutare l’Italia se la crisi del Covid-19 dovesse ripresentarsi un nuovo afflusso di migranti soprattutto economici? 

In Italia alcuni produttori agricoli in questi giorni hanno sottolineato l’importanza del flusso di manodopera straniera per i raccolti. Questa è solo una faccia di una realtà molto complessa, come fu sottolineato durante i negoziati a cui lei fa riferimento. La presidente von der Leyen ha chiaramente indicato che la revisione delle regole della Convenzione di Dublino e la creazione di un nuovo patto europo sulla migrazione e l’asilo rientrano tra le sue priorità. Questa è però una materia dove le decisioni sono prese all’unanimità dagli stati membri e dunque bisognerà superare le precedenti chiusure di alcuni stati europei ad una sua riforma. C’è d’augurarsi che la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea sui mancati ricollocamenti sia di stimolo a rivedere proprio queste posizioni. Fino ad allora la Commissione continuerà i suoi sforzi per aiutare gli stati membri a coordinarsi al meglio per fornire una risposta adeguata ed umana alla migazione, così come la sua azione internazionale per controllare i flussi migratori.

Come valuta la “guerra sul turismo” che sembra si stia profilando all’orizzonte tra molti stati membri della Ue e che rischia di penalizzare l’Italia?

La Commissione ha presentato il 13 maggio delle linee guidae raccomandazioni molto articolate per arrivare proprio ad una graduale eliminazione delle restrizioni al turismo tra i paesi europei e che possa permettere il recupero di un settore fondamentale per tante economie europee, come l’Italia naturalmente nel rispetto delle precauzioni necessarie per la salute dei cittadini. Queste misure sono necessarie, e la Commissione vigilerà sulla loro applicazione da parte degli Stati, per evitare sia che si metta a rischio la salute dei turisti sia qualunque forma di concorrenza che sia contraria alle regole europee.

Un sondaggio di Swg svela che ad aprile la fiducia degli italiani nell’Ue era al 27%. La preoccupa il crescente euroscetticismo?

Non ci si può nascondere che certi dati facciano impressione, soprattutto in un paese che è tra i fondatori della grande avventura europea. Mi preoccupano nella misura in cui sono il riflesso di un’informazione non sempre accurata e a volte, nei social networks, volutamente non accurata. Ma molti sondaggi indicano anche che questa delusione è più dovuta ad una ‘mancanza d’Europa’ che non ad ‘un’eccesso d’Europa’, come nel caso inglese. È una differenza molto importante perché indica chiaramente la strada da seguire e che la presidente von der Leyen ha senza dubbio intrapreso in questi mesi. Spero che questa richiesta di Europa si traduca anche in una forte partecipazione popolare alla Conferenza sul futuro dell’Europa che lanceremo quest’autunno.

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