Il Washington Post, ha fatto la solita, perfetta fotografia: “Nella morsa della malattia, della disoccupazione, e dell’indignazione verso la polizia, l’America sprofonda nella crisi”. La polarizzazione politica, le dis-equità socio-economiche, le rabbie represse, la diffusione endemica del cospirazionismo, le mai risolte tensioni razziali, la disoccupazione crescente e la paura per le condizioni economiche che verranno, la pandemia e il lockdown. Vecchie e nuove crepe nel sistema americano che sono tornate a galla in questa settimana.
“È uno stereotipo, ma come tutti gli stereotipi ha una base di verità: gli Usa sono un Paese di contraddizioni fortissime. Dove le fratture (di reddito, d’istruzione, di benessere, di opportunità) sono oggi più marcate e radicali”, spiega a Formiche.net Mario Del Pero, professore di International History alla prestigiosa SciencesPo di Parigi.
Gli Stati Uniti, prosegue, sono un Paese “dove convivono ambiti di ricerca, pubblici e privati, unici, come ben ci mostrano tante università d’eccellenza; e dove la gran parte degli studenti di high school hanno ritardi pesanti d’apprendimento rispetto ai loro pari età di Paesi più sviluppati. Dove immenso è il gap d’istruzione e apertura al mondo tra aree metropolitane, pienamente partecipi ai processi d’integrazione globale, e spazi rurali o exurbani del tutto impermeabili a esse (almeno in termini di percezioni e conoscenze”.
Nelle ultime ore sono state nuove vittime (ieri una donna a Indianapolis) e spari per strada (a Detroit, Michigan, e Oakland, in California): dilagano in tutti gli Stati Uniti le proteste per l’uccisione di George Floyd – l’afroamericano morto mentre un poliziotto gli premeva il suo ginocchio sul collo; lui a terra, inerme, colpevole di aver usato in un supermercato una banconota falsa da 20 dollari. Scoprono faglie interne al sistema socio-culturale, rotture che dimostrano come l’America sia una potenziale “polveriera”, per citare Maurizio Molinari, direttore di Repubblica e autore nel 2013 di un saggio profondo sugli Usa, “L’aquila e la farfalla“.
“Sono tensioni e contraddizioni – prosegue Del Pero – ormai pienamente traslate alla politica. Qualsiasi parametro di potenza si voglia usare, hard (militare ed economico) e soft (cultura), gli Usa sono primi e per distacco: pensiamo alla loro impareggiabile capacità di proiezione militare (al gap tra il numero di basi di cui dispongono su scala globale e quelle dei loro competitors), al dominio del dollaro (che, nessuno lo rileva, la pandemia ha accentuato), ai loro prodotti culturali”.
E però, continua il professore, “hanno un sistema politico polarizzato e pienamente disfunzionale, che fatica a governare, che legifera poco e male, che riesce a fare eleggere alla Presidenza una figura caricaturale nella sua inadeguatezza come Donald Trump, che su alcune questioni nodali (penso all’incapacità di introdurre una regolamentazione basilare della compravendita di armi da fuoco, che tanto spiega anche di certi atteggiamenti delle forze dell’ordine) è ormai paralizzata da ideologismi che farebbero saltare sulla sedia i padri fondatori”.
Saccheggi e aggressioni contro ciò che rappresenta le autorità – dai veicoli della polizia alle caserme – sono una dinamica classica in certi contesti. Esasperata da quanto descrive Del Pero. “When the looting starts, the shooting starts” è invece una risposta non troppo classica, quanto non imprevedibile, data dal presidente Trump, citando il durissimo (e razzista) capo della polizia di Miami, Walter Headley, durante gli scontri razziali del 1967 – è quasi impossibile che Trump lo abbia fatto in modo involantario, e per questo Twitter ha oscurato il messaggio per incitamento all’odio.
Il contender democratico Joe Biden dice che quello che vediamo in questi giorni è frutto di “una ferita profonda perché viene dal peccato originale della nostra nazione”; intende la schiavitù. A Minneapolis come altrove sono scese in strada le fazioni nazionaliste nere e le milizie suprematiste bianche – problema di terrorismo interno che le agenzie governative monitorano alla stregua degli atti estremisti del jihadismo. La polizia e la Guardia nazionale sono in mezzo, considerate come il nemico da entrambe le fazioni.
“E a chiudere il contesto, c’è il partito democratico, che potremmo definire balcanizzato – prosegue il professore dell’università francese – che nei campus universitari fa le battaglie per i pronomi neutri quando un 10/15 per cento della popolazione vive ancora sotto la soglia della povertà, che candida alla Presidenza un’ottantenne; e l’altro ormai eversivo in tante sue componenti”.
Quella dipinta è “una superpotenza che rischia di farsi male da sola. Anzi, che si sta facendo male da sola”. A questo punto Trump sembra il prodotto di tutto ciò, “oltre che dell’evidente deriva della galassia conservatrice; ma ne è oggi anche il driver primario: il pulpito presidenziale esercita, o dovrebbe esercitare, una chiara funzione pedagogica. Quella di Trump è a tutti gli effetti una pedagogia tossica: divisiva, violenta, grossolana”.
Un quadro abbinato a proiezioni che sono ancora da superpotenze, come quella vista ieri a Cape Canaveral, passaggio storico in cui lo spazio è diventato territorio di conquista di un’azienda privata iper-tecnologica che ha rilanciato il sogno spaziale: la prima navetta partita dalla Florida dal 2011. Quello che vediamo (ossia la presidenza Trump) “è il presente; ma anche il futuro, che comunque vada, anche se saranno solo quattro anni, e non è affatto scontato, lascerà macerie e cocci difficili da ricomporre. Non penso ad altro, quando vedo insieme Minneapolis ed Elon Musk”.