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Vi spiego la mossa di Haftar in Libia. Il punto del Gen. Bertolini

È strano che, quando in politica si passa dai fatti alle parole, spesso la situazione rischi di complicarsi anziché semplificarsi, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare. Questo vale certamente per la questione libica nella quale, dopo le cannonate, hanno fatto irruzione le ultime prese di posizione del generale Khalifa Haftar per creare più scompiglio, se mai ce ne fosse stato bisogno. La sua recente dichiarazione di accettazione di un supposto “mandato” popolare libico per assumere la leadership del Paese, infatti, non è passata inosservata e si è attirata strali a giro d’orizzonte.

Ricapitoliamo: tra alti e bassi, richiami alla cooperazione, auspici di soluzioni politiche e non militari, strette di mano davanti alle telecamere, tour nelle principali capitali europee, conferenze di pace e risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, la guerra tra Haftar e Fayez al Serraj va avanti ininterrotta da anni. Non ci sono, insomma, argomenti che tengano e sono sempre le armi che dettano legge in Libia, anche se nessuno dei due contendenti ha avuto finora la forza o la volontà di utilizzarle fino alle estreme conseguenze.

Ma resta il fatto che Haftar, quello che il ministro degli Esteri turco ha chiamato suggestivamente “Hifter” in una sua recentissima dichiarazione contro l’appoggio che l’Egitto continua ad assicurargli, non ha mai smesso la sua pressione bellica nei confronti del Government of National Accord.

Nei primissimi mesi del 2019, infatti, ha allargato la sua area di controllo dalla Cirenaica settentrionale a buona parte del Fezzan, con una manovra avvolgente probabilmente favorita anche da una qualche forma di supporto militare francese, per poi risalire fino alla periferia di Tripoli. Insomma, che l’accordo di Skhiratin (Marocco) a dicembre del 2015 non avesse impedito di fare come se non fosse stato siglato non era una novità.

Con esso, infatti, nella prospettiva di una Libia unita si riconosceva al Gna il ruolo di vertice politico nazionale relegando Haftar a una funzione subordinata che non lo ha mai convinto. Anzi, si è trattato di una medicina troppo amara da fargli mandare giù, nonostante fosse stata sostanzialmente ratificata dalla risoluzione 2259 del Consiglio di sicurezza Onu.

Allora, cosa c’è di nuovo in questa presa di posizione? Cosa c’è di più dirompente di quanto non già fosse il sostanziale assedio nel quale Haftar aveva stretto Tripoli e il suo competitore appoggiato dalla comunità internazionale? Molti commentatori sottolineano giustamente le difficoltà che Haftar starebbe incontrando da un punto di vista militare, a causa del progressivo rafforzamento di al Serraj. Il presidente del Gna non sembra più l’anatra zoppa di qualche mese fa, infatti, e grazie ai turchi e ai jihadisti da questi spostati in Tripolitania dalla Siria è riuscito a rioccupare Sabrata e ad assicurarsi la continuità territoriale della costa tra la capitale e la Tunisia.

Inoltre, parrebbe ora forte abbastanza da insidiare Tahrouna, occupata da Haftar una sessantina di chilometri a Sud-Est di Tripoli, fino al punto di permettersi di rigettare la proposta di tregua per il mese di Ramadan avanzata dal Generale. In questa prospettiva, la dichiarazione parrebbe solo un modo maldestro per aumentare sulla capitale una pressione che spinga al Serraj ad una mossa falsa o che faccia decidere le Katibe tripoline al cambio di fronte in cui sperava dall’inizio dell’offensiva; ma con l’arrivo dei turchi tale prospettiva si allontana.

Comunque, a parte questi successi, Haftar resta ancora presente alla periferia sud di Tripoli e controlla larga parte del territorio del Paese, cosa che a meno di un improvviso e per ora imprevedibile crollo del Lybian National Army pare destinata a durare. Per di più, è ora in collegamento territoriale con i terzi incomodi della Libia, i Tebù e i Touareg nel sud del Paese, che controllano le piste attraverso le quali si avviano verso nord i profughi che dal sud Sahara entrano nella turbolenta Libia diretti in Europa.

Per loro, in un certo senso, le dinamiche politico militari dei due competitori sulla fascia costiera possono sembrare lontane quasi quanto lo sono per noi dalla prospettiva italiana, e non è scontato con chi si schiereranno nel momento in cui fossero costretti a scegliere.

Quello che è certo, comunque, è che si è rotto il fragile equilibrio tra i due contendenti, nel quale il predominio militare dell’uno era bilanciato dal supporto della comunità internazionale all’altro. Ora, anche la Russia, infatti, sembra prendere le distanze dal generale, forse tentata dal ritagliarsi un ruolo meno incidente con i disegni di Erdogan, l’amico-nemico in Siria col quale deve andare assolutamente d’accordo.

Insomma, vedremo prossimamente se ci troviamo in presenza di uno di quegli scambi della storia che imprimono un’altra direzione agli eventi o se si tratta solo di un altro piccolo corrugamento nella tela del dramma infinito nel quale è stata precipitata la Libia dalla mancanza di scrupoli di qualche nostro alleato con la complicità della nostra inerzia. Quel che è certo è che non sono finiti i problemi per l’Italia.



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