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5G cinese, perché serve un’alleanza democratica. Parlano Warner e Vestager

“Negli Stati Uniti è meno complicato, qui la tecnologia di Huawei è radicata”. Margrethe Vestager fa nomi e cognomi. Invitata al Brussels Forum, kermesse annuale su esteri, intelligence e sicurezza del think tank americano German Marshall Fund, la vicepresidente della Commissione Ue e commissaria alla Concorrenza dice la sua sulla rete 5G e su come l’Ue può difendersi dalle mire di aziende di Stato cinesi.

Il nodo non è facile da districare. Lo sanno bene a Bruxelles, che quattro mesi fa ha deciso di non decidere con l’“EU toolbox”, il pacchetto di misure (raccomandate) per gli Stati membri con l’obiettivo di aumentare la sicurezza della rete di ultima generazione. Incalzata dalle domande di Cecilia Kang del New York Times, la Vestager ha detto che “il 5G sarà l’ossatura della tecnologia industriale europeo” e “dobbiamo trovare il modo per renderlo sicuro, è essenziale”.

La commissaria Ue in ossequio al galateo istituzionale non ha nominato la Cina ma non ci ha neanche girato intorno. “Dobbiamo lavorare insieme a Paesi che condividono i valori universali e democratici dell’individuo”. “Sia sulla sicurezza che sulla costruzione della società digitale – ha aggiunto – possiamo lavorare anche con Giappone, India, e con i Paesi africani”.

La lista non sembra casuale. Giappone e India, ad esempio, sono due Paesi che hanno più di un contenzioso aperto con l’ex Celeste impero, non solo sul fronte tech. Coincide con i Paesi chiamati in causa da Mark Warner, senatore democratico della Virginia, da sempre attivo sostenitore di una rete 5G “Made in the West”.

“Ci siamo illusi che, nel mondo digitale, l’Occidente avrebbe dettato le regole del gioco. Non è così e la Cina ce lo sta dimostrando. India, Giappone, Australia, Corea. Dobbiamo portare dentro questi Paesi e dar vita a una Coalition of the willings (coalizione dei volenterosi, ndr) per contenere aziende che ricevono miliardi di sussidi da entità statali”, ha detto il senatore in video-collegamento al Brussels Forum.

L’idea di una “coalizione democratica” per controbilanciare l’avanzata cinese nel mondo tech è stata sollevata da più interlocutori di recente. È il caso, fra gli altri, del Regno Unito di Boris Johnson, che a gennaio ha dato il via libera a Huawei ma solo per il 35% della rete 5G non-core, vietando invece l’accesso alla parte core, e che ha ultimamente auspicato la nascita di un “club delle democrazie” che unisca le forze per trovare una soluzione (possibilmente) di mercato.

“I cinesi ormai decidono protocolli, regole, tutto quello che hanno fatto americani, europei, giapponesi negli ultimi 50 anni” ha detto Warner. “Non c’è azienda occidentale in grado di competere con un campione cinese che riceve miliardi di dollari dallo Stato. Temo che questa situazione si ripeterà per altre tecnologie, come il quantum computing o l’Intelligenza artificiale”.

Vestager, nota per la linea intransigente anche con gli Stati Uniti, con cui l’Ue è impegnata in un braccio di ferro sulla Digital tax, spiega che Bruxelles non farà sconti neanche a Pechino e ai Paesi che supportano “la concorrenza scorretta”. È un tema caldo per la Commissione, che lo scorso 17 giugno ha pubblicato un Libro bianco sullo screening degli investimenti diretti esteri.

“Qui siamo per la concorrenza pulita, non si possono dare a proprio piacere sussidi, le aziende non sono controllate, ci sono delle regole. Non è corretto che un’azienda estera sussidiata dallo Stato acquisti una concorrente europea per farla fuori e produrre a prezzi non di mercato. Non ci faremo trascinare in una corsa ai sussidi”.

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