La riforma della giustizia? “A questo punto è diventata un obbligo”. Il deputato del Partito democratico, Stefano Ceccanti, non ha dubbi: basta attese, “le vicende di questi mesi” – ha spiegato il costituzionalista in questa conversazione con Formiche.net – “devono spingere il governo e il Parlamento a intervenire sul tema in tempi rapidissimi”. Come d’altronde ha ripetuto in più di un’occasione il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che nei giorni scorsi – in occasione delle celebrazioni di cinque magistrati uccisi dal terrorismo e dalla mafia – è tornato a tuonare sull’argomento: “Sono emersi fatti di una gravità tale da indurre il presidente della Repubblica ad adottare posizioni durissime”.
Da dove bisognerebbe cominciare secondo lei?
Il cuore del problema è rappresentato dal sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura che è impostato sulla base di preferenze alle liste nazionali. In questo modo le correnti hanno assunto un’importanza spropositata. C’è un meccanismo di chiusura da parte della magistratura che va assolutamente rotto. Mi pare che molti magistrati di qualità siano stati penalizzati per il solo fatto di non appartenere ad alcuna corrente.
Cosa fare dunque?
Penso che la soluzione migliore sia l’introduzione di un sistema esattamente opposto all’attuale: ovvero, prevedere collegi uninominali con i quali i candidati non si troverebbero a vincere sulla base della forza della corrente di appartenenza, come avviene invece ora. Questo è il primo aspetto.
E il secondo?
Attiene al potere disciplinare: bisogna chiedersi se sia il caso che sia esercitato dagli stessi magistrati oppure se non convenga attribuirlo a un organo diverso.
A suo avviso?
Credo si possa ragionare sulla seconda ipotesi: le attuali regole, come sta emergendo in queste settimane, non hanno dato buona prova di sé.
Cos’altro professore?
Vi sono aspetti di protagonismo sgradevole da parte di alcuni magistrati sui occorrerebbe intervenire.
A cosa si riferisce?
C’è un contesto generale nel quale, in alcuni casi, si fatica a far capire quali sono i limiti di ciascun potere. Per questo il Parlamento, sulla base della proposta del governo, è chiamato a intervenire per riformare quello che non funziona nel sistema. La politica darebbe una risposta tempestiva, dimostrando di essere in presa diretta sulla realtà.
Ma ne sarà in grado? Nella maggioranza sulla giustizia ci sono posizioni anche molto diverse
Mi sembra ci siano state difficoltà iniziali molto forti, anche perché erano state fatte scelte sbagliate da parte del precedente governo gialloverde. Mi riferisco, ad esempio, alla decisione di bloccare la prescrizione senza attuare la riforma del processo. Una previsione assolutamente squilibrata. Il punto di partenza non è stato affatto positivo.
E adesso?
Spero che le cose possano migliorare. Ma serve in questo senso un netto cambio di marcia. Certo, la continuità personale alla guida del ministero della Giustizia potrebbe non aiutare: il ministro (Alfonso Bonafede, ndr) è rimasto lo stesso ed è in qualche modo naturale che tenda a difendere il suo operato nel corso del governo precedente. Però la maggioranza è cambiata e anche lui deve rendersene conto.
In termini di sistema, perché è così importante riformare la giustizia?
È un tassello fondamentale della strategia di rilancio: il malfunzionamento della giustizia è una palla al piede per la competitività dell’Italia. Questo è il vero punto. Si tratta di una questione che zavorra evidentemente il nostro Paese. Perché qualcuno dovrebbe venire a investire da noi visti i tempi dei processi e vista l’incertezza generale? È un problema di rendimento complessivo del sistema.