In un saggio di recente pubblicazione su La Civiltà Cattolica a firma di padre Federico Lombardi e relativo alle memorie di Celso Costantini, primo delegato pontificio nella Cina post imperiale e pre comunista, dal 1922 al 1933, si può leggere questa citazione: “Di fronte specialmente ai cinesi, ho creduto opportuno di non dover accreditare in alcun modo il sospetto che la religione cattolica apparisca come messa sotto tutela e, peggio ancora, come strumento politico al servizio delle nazioni europee”.
E’ una lezione compresa? Seguendo con preoccupazione gli ultimi sviluppi della “questione Hong Kong”, che proprio in queste ore potrebbe conoscere il nuovo testo della legge sulla “sicurezza” votato ma non ancora varato a Pechino, il cardinale Zen ha detto tante cose, tra le quali anche una novità: “Purtroppo a Pechino non ci ascoltano”. Dunque sarebbe importante essere ascoltati, che comporta ascoltare. Ma resterebbe difficile considerando il cristianesimo come nemico giurato dell’interlocutore, o se venisse inteso come una religione incomprensibile, scorciatoia politica nelle relazioni internazionali. Due errori paralleli.
Sta anche qui il punto di un dialogo vitale per la Chiesa e per il mondo, in un momento nel quale i venti di guerra soffiano forte. Questa relazione a più strati va capita.
La linea scelta da Francesco, come ha autorevolmente affermato il decano del collegio cardinalizio, cardinale Re, è la stessa seguita dagli ultimi pontefici, e l’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, contrariamente a quanto affermato pubblicamente dal cardinale Zen, è la stessa che era stata approvata da Benedetto XVI e che si è tradottae in accordo provvisorio solo nel 2018. I tempi, quando di mezzo ci sono Cina e Santa Sede, non sono quelli della Formula Uno.
Alla base di quell’accordo credo ci sia un’idea; i vescovi devono essere “cinesi” e fedeli al papa. Con il termine “cinesi” intendo dire che non considereranno la Cina un territorio estraneo al cristianesimo, dove importare una religione occidentale e ad esso fedele. La fedeltà dei vescovi infatti è al papa e vuol dire che non faranno della religione uno strumento, o scorciatoia politica. Qui c’è una differenza fondamentale tra l’idea di armonia sociale e sinfonia dei poteri: la sinfonia dei poteri piega l’autorità religiosa a quella politica, l’armonia sociale tiene insieme le sue anime diverse nel nome del bene comune, e delle diverse responsabilità.
Ora aumentano le voci di un interesse di Pechino nei confronti del papa. Gli emissari cinesi che ruoterebbero a Roma intorno a San Pietro sono nei racconti di tanti. E questo è certamente un fatto positivo, importante. Ma non è che Pechino pensa a usare San Pietro come scorciatoia per trovare un dialogo politico “facilitato” con l’Occidente? Dunque, si potrebbe dire, con chi vuole dialogare Pechino: con il Vaticano ma non con la Santa Sede?
La questione ha diverse facce. La prima è asiatica: con tutte le tensioni che ci sono nell’area il Vaticano di Francesco non può certo favorire un uso della religione contro, ma per. Per vuol dire per tutti, non per qualcuno. Ma neanche uno solo. Riposizionare le navi in rotta di collisione non è impresa facile, occorre determinazione ma anche prudenza nella manovra. Io credo che su questo la voce del Vaticano si sentirà.
Il secondo livello è cinese: a che punto è il progetto della società armonica? Qui il contesto di attriti è chiaramente un ostacolo a progressi, ma l’unica via resta il dialogo, anche se tra crescenti difficoltà. Difficile ci siano veri progressi “cinesi” se l’idea di armonia non fa progressi. Così il riconoscimento del vescovo pluriottantenne di Fujian dà l’impressione di un segnale, piccolo piccolo però. Se si voleva sbloccare la situazione e dimostrare che l’armonia è una scelta che non tra le difficoltà non viene abbandonata c’erano vescovi più giovani di lui che si potevano riconoscere. Pechino, a mio avviso, dovrebbe trovare la forza di dimostrare interesse alla Santa Sede, più che alla Città Vaticano. E’ il pluralismo che si delinea con l’attuazione dell’accordo provvisorio che indicherebbe la scelta dell’armonia del concerto, e non della sonata per pianoforte.
L’attenzione di Pechino nei confronti della Santa Sede sembra invece contenuta rispetto a quella per la Città del Vaticano, lo Stato con il quale si vorrebbe – sembra – un dialogo nelle difficoltà del momento. Auspicabile, certo, ma dimostrando di avere l’ordine giusto: intanto costruiamo la barca, poi sceglieremo la rotta.
Il terzo livello è quello mondiale e ricorda sempre più da vicino quello del tempo in cui Giovanni XXIII scrisse la Pacem in Terris. La sintonia di Bergoglio con il “papa buono” fa pensare ad azioni di pace che possano ricordare quelle di allora. Perché la Pacem in Terris viene prima di ogni altra considerazione.
Ha scritto in queste ore Gianni Valente al riguardo dell’articolo di padre Federico Lombardi su Celso Costantini: “Le scelte e le mosse di Costantini e della Santa Sede – rileva il saggio pubblicato sulla rivista diretta da padre Antonio Spadaro – non rispondevano solo a criteri tattici. Non si trattava di mettere in atto una captatio benevolentiae nei confronti delle autorità cinesi. A guidare Costantini e la Chiesa di Roma era soprattutto la volontà di essere fedeli alla natura stessa del cristianesimo, e alle vie con cui si comunica nel mondo la salvezza promessa da Cristo. Nel ministero svolto in Cina, e poi anche nella sua funzione di Segretario di Propaganda Fide, Costantini sostenne sempre con veemenza la necessità di formare nei cosiddetti territori di missione un clero indigeno e un episcopato indigeno, e fu un fautore concreto e solerte dell’urgenza di tradurre i libri liturgici e le Sacre Scritture nelle lingue usate dai nuovi popoli a cui veniva annunciato il Vangelo”.
Questo è il criterio; non captatio benevolentiae, né riduzione del cristianesimo a prodotto da export, come rischiano di fare certi dogmatismi. Ha scritto infatti padre Federico Lombardi: “Per Costantini, la Chiesa deve annunciare il Vangelo, e questo deve radicarsi in ogni terra e in ogni cultura e non rimanere una ‘merce di esportazione’”.
Dunque in ballo ci sono il futuro dei cristiani cinesi e poi di tutti i cinesi, ai quali l’idea di una società armoniosa è rivolta, e li riguarda tutti. Poi c’è il piano della pace nel mondo. Un altro piano, sul quale la voce del pastore universale dei cattolici sarà certamente chiara.