Assieme al (prossimo) dietrofront su Huawei (raccontato su Formiche.net nei giorni scorsi) il governo britannico di Boris Johnson è impegnato a trovare alternative per il 5G. Impegnato a tal punto che, come riporta il Times, potrebbe decidere di pompare investimenti statali nelle aziende britanniche di telecomunicazioni per aiutare a competere nel mercato delle reti di nuova generazione. “La proposta è parte di un piano più ampio per ridurre la dipendenza britannica da Huawei”, scrive il quotidiano londinese. Tra i pilastri del progetto di Downing Street c’è la creazione di una nuova alleanza tra democrazie, un club già ribattezzate D10 (i Paesi del G7 più Australia, Corea del Sud e India, come spiegato su Formiche.net) che molto ricorda il G11 (esteso anche alla Russia) a cui il presidente Donald Trump sta lavorando per settembre in chiave anticinese.
Intervistata dall’Independent, Lisa Nandy, ministro degli Esteri del governo ombra laburista, ha spiegato che “la verità è che la ragione per cui il Regno Unito ha un problema con la rete 5G è perché abbiamo perso la nostra industria nazionale qualche tempo fa e non abbiamo investito”.
La Cina sembra essere diventata anche nel Regno Unito, dopo che negli Stati Uniti, una preoccupazione bipartisan. E non soltanto, come dimostrano le mosse del governo e le parole dell’opposizione, quando si parla di 5G. Basti pensare che sette ex ministri degli Esteri britannici, sia conservatori sia laburisti, hanno invitato il premier Boris Johnson a creare un’alleanza globale per coordinare la risposta all’attuale crisi di Hong Kong. Si tratta di Jeremy Hunt, David Miliband, Jack Straw, William Hague, Malcolm Rifkind, David Owen e Margaret Beckett, che hanno espresso le loro preoccupazioni per quella che definiscono una “palese violazione” degli accordi sinobritannici.
Pressioni sul governo su questo tema arrivano, come scrive i, anche dal China Research Group, l’organizzazione interna al Partito conservatore che chiede una revisione totale delle relazioni tra Regno Unito e Cina.
Il coronavirus sembra la goccia che ha fatto traboccare il vaso, mettendo a repentaglio la cosiddetta età dell’oro dei rapporti tra i due Paesi a cui tanto avevano lavorato l’ex premier David Cameron e il suo cancelliere George Osborne. Come ha spiegato a Formiche.net alcuni giorni fa Damian Green, nel 2017 First Secretary of State (vice de facto) dell’allora premier Theresa May e oggi membro del gruppo, “per 20 anni, noi occidentali abbiamo sperato che coinvolgendo la Cina nel nostro sistema economico, loro iniziassero a comportarsi da Paese normale secondo le regole globali. Ma è evidente che con Xi Jinping questo non accadrà. La crisi del coronavirus ha dimostrato che i cinesi sono diventati più aggressivi, più antioccidentali e determinati a utilizzare la loro forza economica per promuovere esclusivamente i loro interessi”.