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Cina, Russia ma anche Turchia. Così Twitter cancella i profili fake

Twitter ha annunciato di aver chiuso centinaia di migliaia di account “statali” cinesi, russi e turchi utilizzati per fare propaganda e disinformazione. Nello specifico, sono stati disattivati 23.750 account collegati alla Cina che diffondevano ingannevolmente messaggi favorevoli al governo cinese, connessi a circa 150.000 altri account che fungevano da “amplificatori”. Gli account cinesi contenevano tweet legati alle proteste di Hong Kong, “teorie geopolitiche favorevoli al Partito comunista cinese e teorie fuorvianti sulle dinamiche politiche di Hong Kong”, ha spiegato Twitter. Molti contenuti hanno contribuito a promuovere le opinioni di Pechino sulla lotta al coronavirus (criticandone in particolare la gestione da parte di Taiwan) e le proteste antirazziste negli Stati Uniti.

Chiusi anche 7.340 account collegati alla Turchia e 1.152 collegati alla Russia. Il contenuto, ha spiegato Twitter, è stato salvato in un database per la ricerca scientifica. Gli account turchi sono dedicati principalmente al sostegno al presidente Recep Tayyip Erdogan, mentre quelli russi sono stati usati anche per promuovere il partito al potere e attaccare i suoi critici.

IL BOOM DA CORONAVIRUS

Twitter ha affermato che la rete cinese aveva collegamenti con una precedente rete di account appoggiata da Pechino, smantellata l’anno scorso da Twitter, Facebook e YouTube, che spingeva narrazioni fuorvianti sulle dinamiche politiche di Hong Kong. Renee DiResta, responsabile della ricerca presso l’Osservatorio Internet di Stanford, ha spiegato che l’attività di questi account falsi legata al coronavirus si è intensificata dalla fine di gennaio, quando l’epidemia ha iniziato a diffondersi oltre la Cina e ha raggiunto un picco a fine marzo.

E non è un caso che il periodo si intersechi perfettamente con quanto rivelato alcune settimana fa da Formiche.net: quasi la metà dei post su Twitter pubblicati tra l’11 (cioè il giorno prima che un Airbus A-350 della China Eastern proveniente da Shanghai atterrasse all’Aeroporto di Fiumicino con a bordo nove medici specializzati cinesi dall’Hubei e trenta tonnellate di materiale sanitario — era l’inizio della mask diplomacy cinese in Italia) e il 23 marzo con l’hashtag #forzaCinaeItalia è opera di bot. 

La rete cinese “non è riuscita a raggiungere una notevole trazione” ma era “coinvolta in una serie di attività manipolative e coordinate”, si legge nell’analisi di Twitter. “Stavano twittando prevalentemente in lingua cinese e diffondendo narrazioni geopolitiche favorevoli al Partito comunista cinese, continuando a diffondere narrazioni ingannevoli sulle dinamiche politiche di Hong Kong”. L’Australian Strategic Policy Institute, think tank con sede a Canberra che ha potuto analizzare il set di dati prima dell’annuncio, ha spiegato che la rete stava principalmente cercando di influenzare le opinioni all’interno della diaspora cinese globale attraverso la quale non è difficile inserirsi nel dibattito pubblico occidentale. A tal proposito vanno evidenziati gli sforzi di alcuni membri del gruppo per sottolineare la risposta del governo degli Stati Uniti alle proteste per le ingiustizie razziali in modo da “creare la percezione dell’equivalenza morale con la repressione della protesta a Hong Kong”, ha scritto l’Aspi.

LA MOBILITAZIONE DIPLOMATICA

“Mentre il Partito comunista cinese non permette al popolo cinese di usare Twitter, la nostra analisi mostra che è felice di usarlo per seminare propaganda e disinformazione a livello internazionale”, ha scritto Fergus Hanson, direttore del cyber center di Aspi. Twitter – insieme a YouTube, Google e Facebook – è infatti vietato in Cina, i cui diplomatici, però, come spiegato a Formiche.net alcune settimane fa dall’esperto Bret Schafer del German Marshall Fund, sono sempre più presenti sul social dell’uccellino azzurro. “Probabilmente non è un caso che questo aumento abbia coinciso con le proteste di massa a Hong Kong (iniziate praticamente un anno fa) e con altre sfide geopolitiche come la battaglia su Huawei, la questione degli uiguri nello Xinjiang e il Covid-19. Prima del 2019 su Twitter erano presenti meno di 40 account diplomatici e governativi, oggi ce ne sono più di 120”, spiegava Schafer.

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