Covid-19 non è solo la sigla di una tragica pandemia che ha colpito e falcidiato milioni di persone. Se il mondo sta affrontando un’emergenza dagli effetti devastanti non solo sul piano sanitario, ma anche su quello economico e sociale, non meno eccezionali sono state le conseguenze per la comunicazione e l’informazione. Una crisi profonda che ha stravolto le nostre abitudini quotidiane, cambiando il ritmo della vita delle città e modifi candone gli spazi e i tempi.
Una situazione che ha spinto cittadini, professionisti e aziende alla ricerca quasi ossessiva di informazioni credibili, districandosi tra eccessi apocalittici, sottovalutazioni, fake news e irresponsabilità digitali, istituzionali o mediatiche. A fi anco della pandemia si è diffusa, altrettanto rapida, una infodemia dai contorni ancora frastagliati: ansiogena, confusa, senza punti di riferimento puntuali.
Una malattia? No, questo no. Piuttosto una terapia fondamentale (quale medicina è più efficace della conoscenza?), usata troppo spesso in modo confuso, con un accanimento che ricorda, appunto, una cura mal gestita e con il rischio di esiti infausti. Il nostro Paese, diversamente e molto più di altri, è stato colpito da questa infodemia che ha confuso l’opinione pubblica, travolto i media e messo in crisi le qui lo lascerei in corsivo, dato che è la prima occorrenza 16 istituzioni.
In questo scenario il mondo dell’informazione, i media e le strategie di comunicazione hanno giocato un ruolo fondamentale, nel bene come nel male. La comunicazione politica è stata stravolta dal virus, costringendo la classe dirigente ad abbandonare linguaggi e stili utilizzati da anni per esplorare e sperimentare toni nuovi, interventi in diretta notturna, uso dei social come veicolo primario di contatto con i cittadini.
In questo scenario il mondo dell’informazione, i media e le spinte di comunicazione hanno giocato un ruolo fondamentale, nel bene come nel male. Per provare a dare alcune prime risposte a questi interrogativi abbiamo analizzato quanto accaduto – in particolare nel nostro Paese – dal 31 gennaio al 4 maggio, date simbolo delle cosiddette Fase 1 e Fase 2, ovvero dal primo allarme uffi ciale al giorno della (parziale) riapertura di un’Italia provata e smarrita, ma con una grande voglia di ricominciare.
Abbiamo incontrato parole nuove e problematiche delicate, soluzioni in itinere e personaggi chiave, in un tempo sospeso che ci ha fatto (ri)scoprire l’energia magnifi ca di medici, infermieri, personale sanitario e volontari in prima linea in una battaglia dall’esito incerto. E noi, nelle nostre case o con il distanziamento sociale per le poche uscite autorizzate, disorientati da un sovrapporsi di notizie, bollettini, ordinanze e interpretazioni da tastiera che hanno evidenziato una fragilità di sistema sulla quale è necessario rifl ettere.
Le zone rosse sono entrate nel lessico quotidiano dell’emergenza così come il lockdown, i dispositivi di protezione o le task force. Ma la #zonarossa è molto più dell’hashtag che titola questo libro. È il fermo immagine che ha caratterizzato Codogno e Vò Euganeo all’inizio e oggi circoscrive ciò che si può o non si deve fare, percorrere, interagire. Per il mondo dell’informazione e della comunicazione, 17 #zona rossa riporta alla mente una pagina dura, quella del G8 di Genova, con l’assedio dei black bloc alla cittadella del vertice.
Oggi è il virus ad assediarci, ma abbiamo armi, risorse e volontà per contrastarlo. A partire, appunto, da una comunicazione equilibrata e orizzontale, che non ceda ai protagonismi e alle speculazioni. Se c’era un modo per mettere alla prova la comunicazione, la pandemia del Covid-19 è stato il più drammatico e realistico banco di prova. Come professionisti ci interroghiamo di continuo su come aggiornare linguaggi e strumenti per intercettare il pensiero che cambia, su come rispondere agli umori di consumatori e famiglie, come usare la tecnologia che modifi ca spazi e tempi dell’informazione. Da giornalisti e comunicatori, con esperienze nelle istituzioni, nelle aziende e un ruolo oggi a fianco di imprese e decisori, abbiamo ripercorso l’intera nostra vita professionale in una diretta che tocca tutti questi ambiti.
Con l’aiuto di un team di giovani esperti di comunicazione (Livia Botti, Sara Mazzarella, Elisa Russo e Donato Sambugaro) abbiamo analizzato ordinanze e articoli, approfon dimenti e commenti social, trasmissioni e dichiarazioni. Una mole documentale rilevante che da sola permette di capire la dimensione quasi storica dell’impatto che questa emergenza ha avuto sul mondo dell’informazione e della comunicazione. Questo libro non vuole essere un j’accuse, né cercare colpevoli o untori.
Tutt’altro: un ennesimo processo alle intenzioni e ai comportamenti non gioverebbe a nessuno. Piuttosto, attraverso l’analisi puntuale e documentata di quanto accaduto – e ancora potrebbe accadere – quella che proponiamo è una rifl essione costruttiva sulla comunicazione istituzionale e d’impresa, in particolare di quella emergenziale. Un volume agile ma il più possibile aggiornato, che ha il suo centro focale sulla vicenda italiana senza per questo trascurare le esperienze di altri Paesi e 18 del passato.
In meno di cento giorni la nostra socialità, il modello delle relazioni, il rapporto stesso con la malattia e il futuro è profondamente cambiato. Questo ha generato e genererà decisioni forti da parte di istituzioni e imprese. In un presente cambiato già si specchia un domani che sarà inevitabilmente diverso. Gli errori e le omissioni, ma anche le scelte e le intuizioni che la necessità di affrontare un’emergenza mai vista ha portato con sé, devono diventare l’occasione per evitare il ripetersi di cortocircuiti istituzionali e mediatici dannosi tanto al cittadino quanto per la reputazione stessa dei media e delle istituzioni, dilaniate tra crisi della fi ducia e necessità di gestione effi cace e responsabile.
E soprattutto spingere tutti, istituzioni e imprese, a prepararsi, a programmare, a studiare come coinvolgere i cittadini in scelte anche impopolari e sicuramente nuove in un sistema, co me quello democratico, nel quale il diritto di parola e di critica è inalienabile e il consenso è il carburante del successo politico.
Dell’infodemia, proprio come di una qualsiasi patologia, si effettua una diagnosi – analizzandone i sintomi e gli aspetti con cui si manifesta –, si valuta una prognosi, cioè una previsione del suo decorso, e si propone una terapia, valutando tempi di decorso, rimedi e strategie per far fronte al «morbo». Con questa logica il libro è diviso in tre parti che richiamano, anche nella terminologia, scoperta, analisi e soluzioni di un fenomeno per molti versi ancora ignoto.
Siamo partiti cercando di individuare attori e protagonisti della vicenda: i media tradizionali e i canali informativi uffi ciali, ma anche – e per certi versi soprattutto – l’universo digitale e dei social network, inevitabilmente tesi alla disintermediazione e quindi ancora più rapidi nell’esprimere giudizi, alimentare paure o pregiudizi, esaltare soluzioni vere o presunte. Non vanno dimenticate le lodevoli eccezioni, che troveranno adeguato spazio in 19 quanto è anche da questi casi che bisogna (ri)partire, senza nascondersi dietro il sollievo dello scampato pericolo.
Il mondo dell’informazione e della comunicazione ha molto su cui riflettere, a partire dall’analisi consapevole delle proprie responsabilità nell’accelerare il meccanismo psicotico collettivo, che di certo non ha aiutato in una situazione già caotica di suo, rapidissima e mai vista prima. Ma anche per consolidare e migliorare le best practices attraverso le quali la crisi è stata affrontata e allentata. È stata ed è una lezione collettiva, un work in progress che chiama alla responsabilità e al lavoro comune tutti coloro che sono impegnati nel fare informazione giornalistica corretta e nel creare modelli nuovi per la comunicazione istituzionale, pubblica e delle imprese.
Siamo convinti che molto è stato fatto, in parte si è sbagliato, poi corretto, poi sperimentato in un territorio inesplorato e inedito. La nostra tesi è che la comunicazione ha avuto e soprattutto avrà un ruolo sempre più centrale in questa vicenda e in tutte quelle che richiameranno situazioni di emergenza collettiva. Lo sarà nel favorire i messaggi, agevolare la comprensione, limitare le incomprensioni. Anche per questo i comunicatori, così come gli scienziati e tutti coloro (economisti, giuristi, sondaggisti, politologi e commentatori) che molto – e talvolta disordinatamente – si sono esposti sui media, dovranno avere un ruolo centrale nel disegnare e condurre le strategie di governance e di gestione del bene comune.