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Ecco come il Covid-19 ha influenzato il dibattito sui cambiamenti climatici

Il cambiamento climatico e il coronavirus. A parlarne nel corso di uno degli eventi del Brussels Forum del German Marshall Fund, kermesse che ogni anno raduna nella capitale belga il gotha degli esperti nel mondo della politica estera e della sicurezza: Ted Halstead, presidente e amministratore delegato del Climate Leadership Council; la professoressa Rachel Kyte, dean della Fletcher School alla Tufts University; Linda McAvan, ex eurodeputata britannica per il Partito laburista oggi direttore esecutivo delle relazioni europee alla European Climate Foundation; il senatore statunitense Sheldon Whitehouse del Partito democratico. Il dibattito, intitolato “Temperature Check: Climate Change and the Coronavirus”, è stato introdotto dal vicepresidente del German Marshall Fund Ian Lesser e moderato da Nik Gowing, giornalista televisivo britannico e fondatore di Thinking the Unthinkable

Secondo la professoressa Kyte questa crisi da Covid-19 rappresenta “un’occasione” per la transizione a energie sostenibili. Lei è convinta che stiamo vivendo un “momentum” positivo per rilanciare le tematiche green — se ne parla dall’Unione europea alla Nuova Zelanda, dice — anche coinvolgendo il settore privato. 

Il Covid-19 ha riscritto le politiche ambientali ed energetiche, ha spiegato invece Halstead che due mesi fa su Foreign Affairs ha scritto con  James A. Baker III e George P. Shultz di un articolo intitolato “The strategic case for U.S. climate leadership”. Secondo Halstead nel lungo termine le tematiche ambientali, oggi messe in secondo piano nel dibattito statunitense dalle proteste razziali, saranno sempre più centrali: ed è questo uno dei grandi lasciti, ha aggiunto, del Covid-19. Lui si dichiara “molto ottimista”, anche pensando alle preoccupazioni bipartisan dei giovani statunitensi per la salute dell’ambiente e del pianeta.

L’Unione europea sta scommettendo sul Green deal, ha evidenziato McAvan sottolineando però come oggi ci sia la necessità di fare di più sul tema verde rispetto a quanto fatto dopo la crisi del 2008, quando lei era al Parlamento europeo. “Lo vedremo nelle prossime settimane”, ha spiegato. 

Le corporation e il popolo statunitense, però, secondo Halstead stanno guidato il Paese verso “un cambiamento inevitabile” che porterà a una soluzione bipartisan nella prossima legislatura. Anche in questo di secondo mandato del presidente Donald Trump: Halstead è infatti convinto che, con il Congresso spaccato e senza la necessità di pensare alla sua base bensì alla sua eredità, perfino il tycoon potrebbe mobilitarsi per una svolta green. Una posizione, questa, che però non è condivisa dal senatore Whitehouse,  copresidente e cofondatore della task force bicamerale sul cambiamento climatico. Secondo l’esponente dem anche nel Partito repubblicano, in particolare tra i giovani, stanno emergendo con sempre maggior forza posizioni di attenzione verso le tematiche green. Ma questo non basterà: una svolta di Trump è sia impensabile, spiega, dati il peso del Partito repubblicano e dei suoi finanziatori dell’industria fossile

Su una questione i relatori sono concordati: con il sistema multilaterale in crisi e l’emergere di nazionalismi la risposta ai problemi della Terra rischia di non essere condivisa. Banco di prova sarà, ha spiegato la professoressa Kyte, la conferenza Cop26 che si terrà l’anno prossimo e sarà presieduta da Regno Unito e Italia.

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