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Digital divide, cosa insegna il Covid-19. Il dibattito al Brussels Forum

Quest’anno il Brussels Forum, la conferenza organizzata dal think tank German Marshall Fund, si svolge online; e come i partecipanti non hanno mancato di rilevare, non sarebbe stato possibile altrimenti. La nostra dipendenza dal digitale si è pesantemente accentuata in tempi di pandemia, che ha evidenziato come mai prima d’ora la necessità di sviluppare infrastrutture interconnesse, etiche, con un occhio verso privacy e un altro verso la competitività globale.

Cardine della discussione è stato il “grande balzo digitale”, ossia la progressiva digitalizzazione delle società globali. Una realtà ubiqua che, volente o nolente, ha investito la totalità delle industrie e dei governi, seppure in misura diversa.

L’argomento è scottante in un momento teso come quello odierno, con gli Stati Uniti e la Cina bloccati in una feroce guerra economica combattuta anche sul campo dell’industria tecnologica, e l’Europa, pioniera del diritto digitale, pronta a tassare ulteriormente le grandi multinazionali tecnologiche americane. La cosiddetta digital tax è responsabile dello strappo tra Ue e Usa; giusto la settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno silurato le negoziazioni Oecd (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ndr) con l’Europa.

La parlamentare americana Suzan DelBene ha ammesso in apertura che gli Stati Uniti sono rimasti indietro sul diritto digitale, facendo però presente che “una tassazione unilaterale e discriminatoria è controproducente e può minare il processo OECD.” Urge rivalutare il valore digitale, ha continuato la congresswoman. Il parlamentare francese Éric Bothorel si è detto d’accordo, aggiungendo che se si fosse trovato un accordo nel processo OECD, la Francia, che è stata tra i primi Paesi europei a tassare big tech, sarebbe tornata sui suoi passi.

Durante la conferenza sono stati numerosi i richiami per risanare la collaborazione tra Stati Uniti ed Europa. Lo sviluppo digitale deve essere collaborativo, ha spiegato il parlamentare americano ex-CIA Will Hurd, non solo perché la Cina sta già vincendo la gara del 5G, ma soprattutto perché Europa e USA condividono i valori che guideranno lo sviluppo digitale nel futuro. Il funzionario Microsoft per le Nazioni Unite John Frank ha rincarato la dose: “dovunque stiamo assistendo a una ritirata nel nazionalismo, ma la collaborazione transatlantica è importantissima […] dobbiamo costruire insieme un’infrastruttura più resiliente per adeguarci al grande balzo digitale.”

E proprio attraverso il digitale può passare la ripresa economica post-Covid-19. Gli oratori hanno convenuto che la sfida più pressante sia garantire l’inclusività nell’epoca digitale. Come? Banda larga e dispositivi adeguati per tutti, ed educazione digitale per i giovani come per i più anziani. “Quando parliamo di ripresa economica, rimane importante investire nel capitale umano e nell’apprendimento. Oggi ci sono persone che perderanno il lavoro, ma noi sappiamo che nel mercato ci sarà domanda di abilità digitali,” ha rimarcato Frank.

Il cosiddetto digital divide (forbice digitale, ndr) è uno degli ostacoli più imponenti, in Europa come negli Stati Uniti. “Vivo in uno dei centri più tecnologici del mondo, ma poco distante da casa mia c’è gente che non ha la banda larga,” ha fatto notare DelBene, parlando di come la banda larga sia ormai un prerequisito necessario per iniziare un’attività commerciale. “Abbiamo risolto questi problemi in passato, penso all’elettrificazione. Oggi tutti hanno bisogni tecnologici.”

Bothorel ha osservato come scuole, piccole medie imprese e gli stessi governi siano a rischio se lasciati indietro nella marcia verso il digitale. “Un attacco informatico è come il Covid: può bloccare l’economia. Un evento [come questo] succederà di nuovo. Dobbiamo essere pronti.”

Con la diffusione tecnologica, però, arrivano i relativi rischi per la privacy. Tema cruciale ultimamente, data la preoccupazione emersa negli Stati Uniti dopo che alcune unità di polizia si sono avvalse di intelligenza artificiale e tecnologie di riconoscimento facciale per schedare gli aderenti alle manifestazioni pacifiche contro il razzismo. “Spesso abbiamo creato tecnologie e le abbiamo messe lì fuori, dando per scontato che tutti le avrebbero usate per fare del bene,” ha riflettuto Frank; “in mancanza di regole, ci sono dei rischi.”

Per Hurd, il problema dell’intelligenza artificiale è il pregiudizio che può filtrare negli algoritmi. La soluzione passa per la condivisione di dati e valori, cosicché gli algoritmi si possano costruire su fondamenta etiche adeguate. “Padroneggiare queste tecnologie ci darà un vantaggio; il secondo posto non esiste,” ha commentato il congressman, auspicando una collaborazione tra Stati Uniti ed Europa per far fronte alla Cina. “L’evoluzione digitale dei prossimi trent’anni farà apparire insignificante quella degli scorsi trenta. Dobbiamo lavorarci insieme.”


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