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Il nuovo (dis)ordine mondiale e il ruolo dell’Unione europea. L’analisi di Pennisi

Gran parte delle analisi e dei commenti relativi al breve, ed inconcludente, Consiglio europeo del 19 giugno hanno riguardato la posizione dell’Italia nei confronti di una proposta della Commissione europea (Ce) – il Next Generation EU – che necessita dell’unanimità per essere varato ed a cui si oppongono almeno sette degli Stati dell’Unione europea (Ue) ma del cui flusso di finanziamenti ha urgentemente esigenza l’Italia per evitare che in autunno, al momento della preparazione della legge di bilancio, si scateni “una tempesta perfetta”.

Nessuno ha fatto cenno al ruolo dell’Ue in quello che l’ultimo fascicolo del settimanale The Economist chiama “il nuovo disordine mondiale”, ossia il declino della funzione delle Nazioni Unite e delle loro agenzie specializzate multilaterali, specialmente quelle con rilievo strategico e militare, nell’evitare conflitti internazionali. Gli Usa stanno facendo passi indietro sin da prima che Donald Trump entrasse alla Casa Bianca. L’Ue avrebbe potuto avere la carte per assumere una funzione di leadership, ma sembra travolta dai propri problemi interni. In effetti, chi stava tentando di sostituire gli Usa prima del dilagare della pandemia, era la Cina che si è già aggiudicata la direzione generale di quattro delle 15 agenzie specializzate ed in alcune delle altre ha piazzato suoi fedelissimi (come è avvenuto all’Organizzazione mondiale della sanità come stava per avvenire all’Unione internazionale per la protezione della proprietà intellettuale).

Perché l’Ue non si è fatta avanti? Come, ad esempio, ai tempi, ormai lontani, in cui si mirava ad una comunità atlantica basata sulla partnership. Le ragioni vengono sviscerate in una delle più antiche riviste sulle problematiche europee, il Journal of Common Market Studies nato circa 60 anni al Nuffield College di Oxford. Un trimestrale scientifico di chiara e limpida impostazione europeista sin dal suo primo numero.

L’ultimo fascicolo contiene una serie di saggi sulla “identità europea”. Se ne ricava un quadro sconfortante che spiega anche i nazionalismi ed i sovranismi degli ultimi anni e l’indebolimento complessivo dell’Ue sulla scena internazionale.

Ad esempio, il saggio di apertura, di tre docenti (di cui uno italiano) dell’Università di Amsterdam, mostra che in 13 degli Stati membri dell’Ue – generalmente quelli le cui politiche sociali funzionano bene – l’elettorato difende la propria “identità nazionale” e non è affatto favorevole a schemi che comportano ridistribuzione a favore di altri (meno efficienti) Stati dell’Unione.

Un lavoro empirico di due docenti della Johns Hopkins University, conclude che anche se una maggioranza dei cittadini dell’Ue affermano di avere, almeno in parte, una “identità europea”, la loro proporzione sta diminuendo: specialmente tra i più giovani (che – afferma un altro lavoro nel fascicolo – che non hanno e non vogliono avere contezza delle guerre intra-europee) e coloro degli Stati “meridionali” dell’Ue.

Più chiaro un saggio che proviene dall’Università di Zurigo. Dopo tre decenni dalla fine dei controlli alle frontiere, sono stati ripristinati con la crisi degli immigranti (il lavoro non copre la pandemia). Ciò ha indebolito l’”identità europea” in formazione e rafforzato, l’identificazione con gli Stati nazionali.

Si potrebbe andare avanti. La conclusione principale è che la formazione di una “identità europea” ha subito una frenata con la crisi finanziaria del 2008-2009 e rischia di subirne una ancora più forte con la crisi sanitaria ed economica derivante dal “coronavirus”. Ciò indebolisce, senza dubbio, le chances di un ruolo determinante dell’Ue nell’agone mondiale. Al tempo stesso, occorre accettare che sovranismi e nazionalismi non sono fenomeni di breve durata. Le analisi empiriche del Journal of Common Market Studies inducono a pensare che paiono destinati a restare e anche a crescere.

Occorrerebbe forse cercare di costruire un nuovo ruolo per l’Ue, ancorato sulla difesa comune. Ciò potrebbe dare all’Ue una funzione utile nel “disordine mondiale”.



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