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Erdogan e Trump: perché l’asse sulla Libia è strategico

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il suo omologo americano Donald Trump hanno concordato di “continuare una stretta collaborazione” in Libia in una conversazione telefonica lunedì, ha annunciato Ankara.

“I due leader hanno concordato di continuare la loro stretta collaborazione per promuovere la pace e la stabilità in Libia, il vicino marittimo della Turchia”, ha affermato la presidenza. Durante la conversazione, i due capi di stato “hanno raggiunto accordi”, ha detto Erdogan alla televisione pubblica TRT: il turco ha accennato a una “possibile iniziativa” che i due paesi potrebbero prendere insieme, ma non ha fornito dettagli. Dopo la conversazione telefonica, “potrebbe esserci un nuovo capitolo tra gli Stati Uniti e la Turchia sul processo di pace” in Libia, ha detto Erdogan — che al colloquio ha dato molta più enfasi di Trump.

Non è ancora definito cosa sarà “la nuova pagina nei rapporti bilaterali” tra i due Paesi a cui allude Erdogan, ma è chiaro che una soluzione per la crisi in Libia può essere un momento fondamentale. Ankara lo sa, anche per questo ha scelto l’investimento libico: crearsi un contorno, una sfera di intervento da cui potersi costruire una posizione di rilievo internazionale.

Nella narrativa, importante tanto quanto la strategia (anzi, certamente ne è parte), un valore fondamentale. E non è un caso se tra le varie cose Erdogan nell’intervista ribadisce il sostegno al governo di Tripoli di Fayez al Serraj, sottolineando che questo è emanazione delle Nazioni Unite. Per ragioni simmetriche insiste nel definire “un golpista” l’uomo non-forte dell’Est del paese, l’unico reale sconfitto dalla guerra, Khalifa Haftar (golpe, dopo quanto successo nel luglio del 2016, è una parola chiave: anche perché gli anni di relazioni tra Usa e Turchia che avevano seguito quella vicenda, per cui Erdogan denunciava collusioni con ambienti americani, erano stati pessimi).

“Con gli Stati Uniti garantiremo una transizione politica per la Libia. Siamo all’inizio di una nuova era dei nostri rapporti. Haftar ha continuato ad attaccare e uccidere innocenti, ora che ha perso terreno e subito sconfitte non parteciperà ad alcun tavolo negoziale che punti a una soluzione politica per la Libia”, ha detto Erdogan, rimarcando la posizione del governo di Tripoli — che non vuole trattare con Haftar — e sottolineando come il capo miliziano sia tutt’altro che un interlocutore negoziale (messaggio inviato ai suoi sostenitori).

Aspetto importante nelle dichiarazioni sul fronte dell’allineamento con gli Usa: il presidente turco ha assicurato che chiederà a Vladimir Putin — con cui avrà un colloquio nel fine settimana — di “chiarire“ le intenzioni della Russia in Libia: “Tutto il potere di Haftar viene dall’appoggio russo. Chiederò a Putin se è vero, come dice, che Mosca non ha truppe in Libia”, ha aggiunto Erdogan.

Anche in questo caso il senso è doppio. Da un lato c’è la volontà di portare la questione intra-libica sul piano bilaterale con Mosca (in stile simil-siriano) perché il turco riesce ad avere maggiore negoziazione con la Russia piuttosto che con Egitto ed Emirati Arabi (gli altri due grandi sponsor di Haftar) o con la Francia (paese non ostile al miliziano, in cagnesco con la Turchia sul quadrante mediterraneo). Contemporaneamente, la dichiarazione di intenti su Putin accontenta Washington, che ha recentemente aumentato il coinvolgimento in Libia proprio perché la Russia s’era palesata con meno informalità dietro Haftar.

Erdogan ha un vantaggio rispetto a tutti gli altri paesi che ruotano attorno al dossier libico: ha alzato il livello del disclosure sulla presenza e sulle attività. Attraverso un accordo formale con Tripoli, ha inviato forze regolari (uniti a miliziani siriani tutt’altro che potabili). E questo gli permettere di essere un attore ufficiale sul teatro libico, posizione giocata attraverso leve militari. Ruolo che rivendica nel rapporto con Washington: il lavoro sporco dei turchi in Libia è apprezzato dagli americani in contrazione strategica rispetto a molti dossier internazionali.

Ora Ankara ha la carta della fase 2 da giocare: ossia crearsi attorno lo status di vettore Usa per gestire interessi nel Mediterraneo, che non potranno essere che anti-cinesi e bilanciati con la Russia. Questa è la partita successiva alla Libia, che potrebbe portare gli Stati Uniti ad avvicinarsi ancora alla Turchia. Da interpretare in tal senso l’intervento chiaro del vicepresidente turco all’Atlantic Council e altre micro-dinamiche in atto.

 

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