L’Associazione nazionale magistrati non è un’istituzione, pretende di non essere un sindacato, suppone d’essere presidio di valori e garanzie che si leggono nella Costituzione e nelle leggi, sicché non hanno alcun bisogno dell’Anm, di fatto è un organismo corporativo rappresentativo delle correnti politiche che dividono i magistrati, salvo riunirli nella difesa della corporazione stessa. L’espulsione di Luca Palamara non solo non risolve il problema, non solo non restituisce quell’onore che il presidente della Repubblica giustamente indica come requisito per i magistrati, ma rende tutto ancor più grottesco.
Questo è il risultato perché che nomine e incarichi fossero suddivisi e assegnati secondo logica correntizia era noto a tutti e da molto. Palamara non è un passate, ma colui il quale di quell’organismo è stato presidente. Può ben darsi che non tutti fossero al corrente di ciascuna sua iniziativa, contatto, tresca e scambio, ma è escluso tutti non sapessero che era presidente proprio per praticare quella roba. Ove qualcuno voglia sostenere di non averlo né saputo né sospettato, fra i colleghi, occorre che invochi l’infermità mentale. Più facile il plateale mendacio. Sicché espellerlo, l’ex presidente, negandogli anche la possibilità di difendersi con un intervento o una memoria, è una via di mezzo fra l’infantile speranza che la cosa si chiuda qui e il tremulo timore che gli venga voglia di raccontare quanti e chi comparteciparono della sua attività spartitoria e lottizzatrice.
A questo si aggiunga che l’intera amministrazione della giustizia vive la maturazione di fenomeni degenerativi profondissimi, ivi comprese toghe che ricordano a distanza di anni favoritismi o sfavoritismi che avrebbero avvantaggiato i criminali o che avrebbero visto la compartecipazione di istituzioni non preposte a pressioni per dirimere conflitti d’attribuzione, il tutto dimenticando che trattasi non solo di malcostume, ma anche di reati e che loro sarebbero tutti pubblici ufficiali, sicché tenuti alla denuncia. E non nei memoriali postumi.
Il tutto in un Paese in cui la giustizia è negata ai cittadini, i tempi sono incivili e si giunge a lamentarsi della scarcerazione per decorrenza dei termini, dopo 5 anni e sette mesi, di un già criminale, condannato in via non definitiva a 20 anni di galera, ove lo scandalo sarebbe la scarcerazione, laddove lo è che in tutto quel tempo non si sia concluso il processo. È bene sottolinearlo mille volte: non esiste alcuna possibilità di probità dei magistrati in assenza di giustizia, non esiste alcun onore se si continua a sfregiare il diritto. Così come non esiste neanche la più lontana possibilità di addossare tutte le colpe a qualche intrallazzone o anche a una sola categoria, posto che il Parlamento attualmente in carica è il medesimo che ha approvato l’incivilissima riforma che condanna qualsiasi cittadino a essere processato a vita.
Pertanto: se qualcuno spera di far dimenticare tutto questo buttando fuori Luca Palamara si sbaglia di grosso. Si tratta, in un colpo solo, di un elogio immeritato e di una vile vendetta, peraltro innescati da intercettazioni a cura di colleghi, diffuse per ogni dove e non corredate da alcuna sentenza. Ed è solo all’ultima cosa che la giustizia dovrebbe servire. E anche questa volta non c’è.