La notizia è che (anche) Facebook ha bannato per “istigazione all’odio” un post trumpiano — in questo caso la pubblicità di una petizione preparata dal Comitato elettorale del contender presidenziale repubblicano. Chi segue le dinamiche socio-politiche americane se l’aspettava: primo o poi sarebbe successo che anche il social network di Mark Zuckerberg avrebbe classificato il comportamento dell’attuale presidente o del suo team come inaccettabile. I social sono un ambiente eterogeneo e vasto, dove ognuno ha diritto di esprimere le proprie opinioni, diceva Zuck quando il collega Jack Dorsey di Twitter era responsabile ultimo dei disclaimer messi sotto (per spiegazione) e sopra (ad oscurare) due tweet di Donald Trump, uno accusato di diffondere fake news e l’altro di incitare l’odio.
Oggi Twitter ha nuovamente bollato Trump, segnando come “contenuto manipolato” un video che mostrava due bambini, uno bianco e l’altro nero, che si abbracciavano per strada e si rincorrevano per gioco, di cui la CNN aveva dato notizia lo scorso anno e che aveva avuto condivisione virale in tutto il mondo. La versione twittata da Trump mostra invece il bambino bianco che insegue quello nero; in sovrimpressione, la scritta “Bimbo terrorizzato scappa da un bambino razzista” e poi “il bambino razzista è probabilmente un elettore di Trump”, tutto con tanto di logo della CNN. Il segmento modificato lascia poi spazio al video originale, in cui i due bambini si abbracciano, e al messaggio: “Non è l’America il problema. Lo sono le notizie false”.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 19, 2020
La situazione negli Stati Uniti è delicata: il caso Floyd ha scoperchiato il fatidico vaso, ed entrambe le parti politiche stanno sfruttando la situazione per spingere le proprie ragioni elettorali. Risultato: la polarizzazione interna aumenta e la crisi economica prodotta dal coronavirus si sovrappone ai pesi mentali delle diverse collettività intra-americane, approfondendo le faglie del sistema interno. La campagna Trump ha shiftato il messaggio. Qualche settimana fa il punto di fondo era la Cina, ora non che non lo sia più, ma la comunicazione più forte non ruota più solo a qualcosa come “Joe Biden ci consegnerà ai cinesi” — narrazione che tra l’altro rischia di non rendere più, visto le indiscrezioni che escono sulle sue conversazioni tiepide col segretario del Partito Comunista cinese, il capo dello stato Xi Jinping. Adesso l’accusa al contender democratico è di essere troppo morbido con chi protesta, in particolare con i gruppi più violenti. Tipo: il paese è minacciato da certe organizzazioni eversive contro cui solo Trump può far qualcosa. Che il ritmo è cambiato lo spiegano anche gli investimenti. Il follow the money ci dice che dal 2018 al 15 giugno 2020 sono stati spesi più o meno 44 milioni di dollari per le inserzioni della pagina Facebook di Trump, mentre nell’ultima solo tra il 9 e il 15 giugno 2020 — periodo delle proteste — si è speso un milione e 169 mila dollari. Lo stesso nella pagina del Team: dal 2018 ad oggi investiti un milione e 719 mila dollari, di cui e 277mila nell’ultima settimana. I dati sono di Facebook, pubblici.
Se il messaggio è questo, che si estremizzi la comunicazione è il rischio. Facebook ha cassato come “analogie al linguaggio utilizzato dai nazisti per bollare i prigionieri politici” lo spot di una campagna elettorale trumpiana. Conteneva l’immagine di un triangolo rosso rovesciato messo sotto alla scritta: “Mobs (nel senso di riunioni organizzate, ndr) pericolosi di gruppi di estrema sinistra scorrazzano per le nostre strade e causano caos assoluto” (“Stanno distruggendo le nostre città e creano disordini”, “È una follia assoluta, è importante che ogni americano si unisca a noi” altri gingle). Il contenuto è chiaro: si tratta di una petizione contro i disordini dal nome evidente, “This must end”. Ma tutto ruota attorno a quel triangolo: un simbolo che i nazisti usavano per identificare i comunisti e altri prigionieri politici nei campi di concentramento, così come usavano un triangolo rosa per identificare le persone che avevano etichettato come omosessuali o la Stella di David per gli ebrei.
“Abbiamo rimosso questi post e annunci per violazione della nostra politica contro l’odio organizzato”, ha spiegato Facebook in una nota: “La nostra policy proibisce l’uso del simbolo di un gruppo di odio bandito per identificare i prigionieri politici senza il contesto che condanna o discute il simbolo”. Non è chiaro se il Team Trump avesse familiarità con l’origine del simbolo, che fu rivendicato dopo la seconda guerra mondiale da alcuni antifascisti in Gran Bretagna e Germania, allo stesso modo in cui vari gruppi politici nel corso degli anni hanno rivendicato parole e simboli che li opprimevano, fa notare il New York Times. Brad Pascale, il guru dell’organizzazione politica che sta dietro alla seconda corsa alla Casa Bianca del tycoon newyorkese si difende: Facebook ha bloccato delle pubblicità contenenti un simbolo permesso dalle sue emoji, dice, e accusa il social di “ipocrisia”. Il direttore della Comunicazioni della campagna, Tim Martaugh, aggiunge: “Il triangolo è il logo degli Antifa”. È così, l’organizzazione che rivendica la lotta anche violenta contro ogni genere di razzismo usa lo stesso triangolo che usò Hitler per indicare i comunisti. Ma lo utilizza in modo provocatorio come spiegava il Nyt. Un’auto-bolla su cui la campagna Trump ha fatto un autogol, scivolando sul terreno sempre più accidentato dell’iper-polarizzazione dove i social iniziano sentire il peso di fare da grancassa e provano a correre ai ripari.