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Le rivolte negli Usa? Caso Floyd è un test per Trump (e Biden). Parla Spannaus

Non si fermano le proteste che hanno seguito l’uccisione, durante un arresto, dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis, anche perché “questo ennesimo episodio di violenza della polizia avviene in un momento molto particolare – spiega a Formiche.net Andrew Spannaus, analista e saggista americano – con la crisi legata al virus che ha accentuato le disuguaglianze sociali e vede una parte della società americana molto più suscettibile a fenomeni di rabbia contro le istituzioni”.

Ventisei sono gli stati (più il District of Columbia di Washington) che hanno chiesto l’intervento della Guardia Nazionale per tenere l’ordine pubblico sotto controllo: tre i manifestanti morti durante sparatorie con la polizia, centinaia di feriti, quattromila gli arresti. L’esasperarsi della situazione potrebbe produrre ulteriori disordini e scontri.

“La violenza della polizia è un tema molto importante, e ruota attorno a tre punti”, spiega Spannaus: “Primo, il sistema giudiziario, dalla Corte suprema in giù, tutela anche le mele marce, perché chiede sempre di mettersi dalla parte del poliziotto; secondo, i sindacati di settore, che sono inclini al corporativismo e protagonisti di pressioni funzionali sulla politica, compreso sui Democratici; terzo la militarizzazione della polizia”. Da anni il Pentagono ha iniziato a passare armi e mezzi da guerra in surplus ai reparti della polizia locale, innescando una strutturazione mentale delicata tra gli agenti: più armati, rispondono con forza, “reazioni da militari e non da pubblica sicurezza”, aggiunge Spannaus.

Nei giorni scorsi, la polizia di New York ha detto di aver visto persone appartenenti a gruppi radicali fare dei sopralluoghi nei luoghi in cui si sarebbero svolte le manifestazioni: studiavano il luogo per come organizzare le agitazioni da cui innescare la guerriglia. “Le proteste sono pacifiche, ma vengono dirottate sia dai gruppi radicali e violenti di sinistra, come gli anarchici e gli Antifa, che dai suprematisti bianchi e organizzazioni di estrema destra. L’obiettivo – spiega l’analista – è aumentare il caos”.

Il presidente Donald Trump ha annunciato che gli Antifa, gruppo radicale di sinistra d’ispirazione anti-fascista, “sarà designato come organizzazione terroristica“, ma non ha parlato di altre interferenze da parte della destra radicale. “Trump – prosegue Spannaus – ha inizialmente risposto sulla linea del law and order, poi ha fatto un passo indietro, ma pensa di sfruttare politicamente la cosa. Vuol passare da tutore dell’ordine pubblico: è sotto nella corsa presidenziale, e prova la politicizzazione. Usare i disordini, davanti a una situazione generale che per lui non è buona”.

Secondo il sondaggio più recente, quello di ABC News/Washington Post, il candidato democratico, Joe Biden, è in vantaggio di 10 punti sul presidente: “Biden ora deve solo evitare errori – aggiunge il saggista americano – sebbene la situazione innescata a Minneapolis complica anche a lui la strada, per esempio nella scelta del presidente: Kamala Harris e Amy Clabouchar, due delle papabili, sono state entrambe democratiche dal pugno duro”.

I Democratici hanno una situazione difficile, perché intendono condannare la violenza, ma non vogliono rischiare di delegittimare la protesta: “In questo – spiega Spannaus – cercano di mettere l’enfasi sul problema sostanziale, riforma della polizia e giustizia sociale e razziale, e provano a farlo attaccando Trump e stigmatizzando l’atteggiamento da lanciafiamme del presidente”.

Oggi ha parlato anche il grande leader dei Dem, Barack Obama: “L’ondata di protesta attraverso il Paese rappresenta una genuina e legittima frustrazione”, ha scritto su Facebook, difendendo la stragrande maggioranza dei manifestanti come “pacifici, coraggiosi e responsabili” . “Al contrario – scrive Obama – la minoranza di violenti sta mettendo a rischio la popolazione innocente”.

L’ex presidente invita a fare in modo che gli obiettivi della protesta siano “tradotti in leggi e pratiche istituzionali specifiche”, e “in una democrazia, questo succede solo quando eleggiamo rappresentanti che rispondono alle nostre richieste”, scrive il primo presidente nero che però di fatto – dopo otto anni di Studio Ovale – non è stato in grado di limare il gap razziale e certe crepe interne agli Usa.

Si ricorderà per esempio che il grido di dolore “I can’t breathe” ripetuto in questi giorni come ultimo fiato di Floyd nasce dal caso di Eric Garner, un altro afroamericano ucciso anche lui durante un arresto, nel 2014 a Staten Island, New York. “Esatto – aggiunge Spannaus – e c’è di più: nel caso-Garner, i poliziotti furono licenziati solo diverso tempo dopo senza incriminazioni, mentre stavolta la risposta istituzionale, che è fondamentale, è stata quantomeno più decisa”.

Il poliziotto che ha aggredito Floyd, Derek Chauvin, è stato subito licenziato insieme ai quattro compagni di squadra, e dopo poche ore dall’accaduto messo in stato di accusa per omicidio colposo, gli altri per complicità: “Possiamo dire che nello specifico la risposta istituzionale è stata più forte che in passato”.

(Foto: Wikipedia)

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