Difficile trovare, tornando indietro nella storia, qualcosa di simile a quanto successo il 10 giugno nella acque al largo della Libia, quando la fregata francese “Courbet” è stata illuminata per tre volte dal puntatore laser del sistema lanciamissili di una delle navi da guerra della marina turca che stava scorrendo un cargo — sempre turco — diretto in un porto libico. La Courbet si avvicinava al battello civile, che probabilmente trasportava armamenti per il governo onusiano di Tripoli (Gna). Quel che conta (anche) in questo incidente diplomatico tra membri Nato, è che la fregata francese era parte di “Sea Guardian”, missione dell’alleanza nel Mediterraneo — per questo il segretario generale, Jens Stoltenberg, ha già annunciato che sarà aperta un’inchiesta.
Emmanuel Macron ha scomodato una delle sue citazioni più sparate, quella sulla “morte celebrale della Nato”, per parlare di Turchia, e di come l’interferenza negli affari libici sia la dimostrazione di quanto da lui sostenuto. Parigi e Ankara sono su fronti opposti, ma a differenza dei primi i turchi hanno sostenuto il cavallo giusto. Il Gna, che ha sconfitto il miliziano ribelle Khalifa Haftar nel suo tentativo di conquistare il Paese, ambizione di cui i francesi sono (stati) sponsor di seconda classe. Vengono infatti dopo Emirati Arabi ed Egitto (e Russia) che l’hanno aiutato militarmente – come fatto dai turchi col governo e con le milizie della Tripolitania. A testimonianza che la Libia è un test di politica internazionale enorme, queste dinamiche a cavallo del Mare Nostrum si intrecciano con la crisi nel Paese nordafricano, le crepe nell’Alleanza Atlantica, i problemi dell’Europa che con Ankara ha avviato un processo di adesione.
Su queste colonne, il ricercatore dell’Ispi Matteo Colombo evidenziava i rapporti con la Turchia come una delle grosse problematiche che l’Unione europa deve affrontare. Due le correnti. Quella attualmente prominente che vede nel Paese un partner (economico-commerciale, e per la sicurezza regionale) con cui lavorare secondo paletti da fissare necessariamente. L’altra invece considera Recep Tayyp Erdogan un rivale competitivo contro cui creare alleanze alternative di contenimento. Di questa linea, ça va sans dire, Macron è il promotore intra-Ue. Il ministero degli Esteri francese ha inviato giovedì una richiesta a Bruxelles per creare un tavolo di discussione sulla Turchia e di farlo “senza ingenuità”. Parigi sponsorizza già il sistema geopolitico composto da Grecia, Egitto e Cipro (e più lateralmente Israele) creato attorno a un gasdotto, EastMed, la cui sostenibilità economica per varie ragioni diventa sempre più irrealizzabile, ma il cui valore politico è stato quello di magnetizzare quegli stati contro Ankara. Il blocco è di per sé un esempio di meccanismi di contenimento, su cui però Parigi soffre una distanza da parte dell’Ue.
Macron ha aperto anche la partita del gas contro la Turchia, con l’idea (da capire quanto tecnicamente realizzabile) di trasformare l’Egitto nell’hub per il Gnl da spedire in Europa via Mediterraneo – sfruttando il surplus che le recenti scoperte nelle acque del Mediterraneo orientale hanno prodotto. La Turchia ha ambizioni analoghe, ma sfruttando le linee che vengono da Est, come il collegamento Tanap con l’Azerbaijan, e sperando che le proiezioni geofisiche al largo della Libia (avviate per accordo con il Gna) e le esplorazioni a Cipro (prova di forza con Nicosia) permettano di alzare lo status del Paese a produttore.