Le radici profonde (dell’odio) non gelano mai. La furia iconoclasta scatenata negli Stati Uniti a seguito dell’uccisione di George Floyd ha generato un’onda lunga che è approdata fino allo Stivale. L’ultima vittima di imbrattamenti ed episodi vandalici è stata la statua dedicata a – e lo diciamo senza timore di smentita – un gigante del giornalismo e della cultura italiana Indro Montanelli. Attenzione però: “Quello che è successo in America ha sicuramente delle connessioni con gli episodi che si sono registrati anche nel nostro Paese, ma non sono fenomeni sovrapponibili”. Ne è sicuro Mauro Magatti, docente di sociologia alla Cattolica di Milano e saggista che, per analizzare il fenomeno, parte dagli effetti della pandemia sulla società americana.
“È noto a tutti – dice Magatti – che l’emergenza pandemica da Covid-19 in America abbia colpito in particolare le minoranze. Questo non ha fatto altro che amplificare un problema molto complesso che in America di fatto non è mai stato risolto: una società che mantiene forti differenze razziali e che non è mai riuscita a sconfiggere questo fenomeno”. Il paragone che Magatti offre come argomento di discussione rende plasticamente l’idea di una piaga quasi endemica. “Negli States il razzismo è quasi una corrente carsica che talvolta è latente e talvolta riaffiora”. Ed è quindi all’interno di questo quadro “di disuguaglianze e razzismo latente che va letto l’episodio di Floyd che ha riacceso una fiamma mai spenta ma solamente sopita”.
Di diversa natura, secondo il cattedratico, “l’episodio ad esempio dell’imbrattamento della statua di Montanelli, una vera e propria barbarie prima di tutto culturale, ad opera di uno sparuto gruppo di persone”. È chiaro però che “gli effetti che ha provocato l’epidemia da coronavirus potranno portare, se non governati adeguatamente, a episodi di rabbia e insoddisfazione sociale piuttosto gravi”. Anche in questo caso però, una distinzione va fatta rispetto al Paese a stelle e strisce. “In America – riprende Magatti – anche il sistema sanitario basato sulle assicurazioni private ha fatto in modo di aumentare i divari sociali nei diversi strati della popolazione.
Qui in Italia, e ovviamente anche in Europa, il quadro è molto diverso. Tutti i Paesi comunitari, anche attraverso stanziamenti di fondi piuttosto importanti, stanno facendo in modo di limitare le differenze sociali e contenere l’onda della rabbia. Chiaramente occorre che le forze politiche siano in grado di traghettare il Paese fuori da questa crisi, interpretando i cambiamenti su vari livelli che la pandemia ha portato”. Quindi, a detta di Magatti, superata la fase più acuta dell’emergenza sanitaria la popolazione sente forte la necessità “di avere una classe politica coesa che dia rassicurazioni. In questa fase così complessa la politica deve dimostrare impegno nel portare il Paese fuori dal baratro”.
La ricetta secondo il docente della Cattolica si declina in tre ingredienti fondamentali: capacità di decisione, autorevolezza e volontà di seguire una rotta chiara per risollevare l’Italia. La proiezione, quindi, è per questo autunno. “Solo allora potremo valutare bene il contesto in cui ci troveremo”. Fino ad allora però, politicamente, chi può essere la figura chiave in questo senso? Magatti per la verità non si sbilancia. Si limita a qualche considerazione. “Viviamo un tempo politico molto curioso – spiega – e anche in questo caso il Covid ha cambiato non poco le prospettive. Prima della pandemia, infatti, sembrava che i movimenti populisti dovessero avere la meglio ovunque. Da Trump a Salvini, passando per i sovranisti europei. Il Covid ha dimostrato la supponenza e l’inadeguatezza di questi leader, rimettendo in gioco l’Europa. Ora si tratta di capire se la politica è in grado di giocare questa partita. Se non si riesce a giocare questa partita, si prospetta una compagine peggiore di quella che abbiamo oggi con Bolsonaro, Trump e Salvini”.
E l’attuale esecutivo? “Il Governo Conte – chiude Magatti – ha una situazione incredibile: con il treno dei fondi europei (che spero vengano confermati) si trova nella possibilità di apportare una vera e propria svolta nel Paese. A Conte e Gentiloni, comunque, io attribuisco un grande merito: l’esito della trattativa europea”.