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Quello statalismo un po’ mascherato e pasticcione. L’analisi di Pennisi

Non è affatto chiaro se ed in che misura gli Stati generali dell’economia, in corso a Villa Pamphili, saranno utili alla formulazione di quel programma nazionale di riforme, che prima ancora di essere un requisito del “semestre europeo” ed una richiesta specifica (come ribadito dalla stessa Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel primo giorno della kermesse) per accedere ai finanziamenti del Next Generation Eu, è essenziale per inquadrare in una corniche coerente le misure per la ripresa del Paese. Ed è, però, fin troppo chiaro che nel governo a cui compete di formulare, varare e, se resta in carica, attuare il programma albergano due “anime” (per utilizzare un lessico di moda alcuni anni fa): quella dello statalismo lucido e quella dello statalismo inconsapevole, per mutuare una fortunata e ben azzeccata formulazione impiegata come titolo di un bel recente seminario dell’Istituto Bruno Leoni).

Sono “anime” trasversali nei partiti e nei movimenti che sostengono l’esecutivo. Nel Movimento Cinque Stelle (M5S), che si vanta di essere “post ideologico” e non legato agli stilemi politici del Novecento, accanto ad una corrente chiaramente statalista, che accomuna i leader provenienti dalla sinistra e quelli cresciuti in quella che un tempo veniva chiamata “la destra sociale”, c’è ne è una quasi liberista estrema ed una ancora il cui obiettivo pare essere unicamente la conservazione del potere.

Nel Partito democratico (Pd), lo statalismo tradizionale di quella che un tempo veniva chiamata “la sinistra cattolica” nonché degli “ex-post-comunisti” si coniuga con il liberal-socialismo di coloro provenienti dalla cultura politica dell’autonomismo socialista degli ultimi decenni del secolo scorso. Liberi ed Uguali (Leu) pare essere chiaramente statalista, mentre il centrismo di Italia Viva (Iv) sembra declinarsi con un favore per il libero mercato.

L’esecutivo formato da questa congerie di posizioni dovrà presto prendere decisioni fondamentali di politica industriale. Al Ministro dello Sviluppo economico ci sono, da diversi mesi, oltre 200 “tavoli di crisi”, numerosi antecedenti la pandemia e molti creati dal crollo a picco della produzione industriale degli ultimi tempi. Sono ancora aperte le crisi di Alitalia e dell’impianto siderurgico ex Ilva di Taranto. Mentre per Alitalia dopo oltre vent’anni di quella che è stata definita “la privatizzazione infinita” si va verso una nuova nazionalizzazione (i cui dettagli dovrebbero definiti in questi giorni), per gli impianti di Taranto si sta aprendo – pare- un percorso di statalizzazione di cui non si vedono ancora i lineamenti.

Occorre ricordare che la profonda recessione creata dalla pandemia – basta scorrere l’ultimo rapporto Ocse pubblicato la settimana scorsa – ha posto il problema della ricapitalizzazione delle grandi e medie imprese industriali al centro delle preoccupazioni di numerosi Paesi europei (Germania e Francia in primo luogo). Alcuni hanno definito una strategia e chiarito le modalità: ad esempio, nella Repubblica federale tedesca, l’ingresso dello Stato, o dei Länder, sarà per periodi ben definiti e non comporterà ingresso di rappresentati della mano pubblica nei Consigli d’Amministrazione e tanto meno compiti di gestione.

In Italia, invece, pare si vada verso uno statalismo mascherato (ma non troppo) e pasticcione (moltissimo). Per alcuni grandi aziende (Alitalia e forse siderurgia di Taranto) si va verso misure legislative che dovrebbero fissare il perimetro dell’azione pubblica (ed auspicabilmente anche la durata), per molti altre pare si vada a casaccio oppure si pensi di trasformare la Cassa Depositi e Prestiti in una sorta di Gepi, più che Iri, del terzo millennio, senza troppo badare alla missione precipua dell’istituto di curare e fare fruttare il risparmio postale degli italiani.

Appare evidente che questa ipotesi è caldeggiata particolarmente da coloro nel M5S alla ricerca di “sistemazioni” (per utilizzare il linguaggio del mai troppo compianto Alberto Sordi) in caso non venga emendato lo statuto del Movimento e resti, quindi, il vincolo di due mandati in cariche politiche elettive.

La tutela migliore nei confronti di tale statalismo pasticcione sta nella necessità di avere accesso ad aiuti europei, che verranno erogati a rate man mano che il programma di riforme, una volta scritto, presentato ed accettato, verrà attuato sotto l’attenta vigilanza delle autorità dell’Ue.

Viva la condizionalità, che ci potrà salvare da errori che peserebbero molto sulle generazioni future. Il 21 ottobre (Santa Ursula) potrebbe diventare una festività.



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